Il tempo opportuno

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Oh, saprò aspettare il momento giusto.
Custodirò la tempesta,
fino alla sua esplosione resterò in silenzio.
Il respiro sarà lieve fino a che non sarà colma la furia.
Poi sarà uno scroscio d’acqua senza riparo,
sarà burrasca in ogni anfratto del mondo.
La terrà secca tornerà a partorire germogli,
e l’aridità non scamperà alla vendetta.
Il deserto arretrerà con il terrore negli occhi
e l’umidità esploderà in un canto di tuoni.
Ovunque arriverà la frescura,
ogni spigolo si ricoprirà di muschio.
La piena delle acque nuove sconvolgerà ogni cosa
e nulla resterà al suo posto.
Il vento spargerà sementi ovunque
e non troverà alcun rifugio la desolazione.
Sarò quel che sono fino all’ultima goccia di rugiada
e tutta la fatica cupa dell’attesa si muterà in festa.

La quiete della tempesta

Non è vero che la quiete viene dopo la tempesta. Accade che sia la tempesta, nel suo accadere, ad essere la quiete.
Giorni di afa, esplosa nel bel mezzo di un’estate che non è ancora riposo per nessuno, se non per i bimbi e i ragazzi, liberati dagli argini stretti dei banchi di scuola.
A volte lo sforzo e la fatica raggiungono il loro apice estremo sotto le mentite spoglie della vita quotidiana, una corda tesa all’infinito. La terra si spacca, il cuore si asciuga, la polvere è secca e confonde lo sguardo.
Impossibile resistere oltre. Ma, allo stesso tempo, sembra di poter andare avanti così per sempre. L’uomo si abitua a tutto, la natura no. La natura si salva, per istinto, la natura genera la tempesta.
Lavoro, leggo, sudo. Non penso a niente, non penso a niente. La corda è tesa, l’umidità ringhia. Domani come oggi, domani come ieri. Fa caldo. Lavoro, rileggo, non penso a niente, non penso a niente, la corda è tesa, il sole è una pietra, e brucia.
Poi, un attimo.
Le foglie secche raschiano il terrazzo. I gabbiani volano bassi. Il vento si alza, la tenda comincia a danzare. Mi alzo anch’io, mi affaccio, il sole è impallidito, le nuvole si muovono, impazzite, potenti e nere. L’afa si scioglie, come un incantesimo, tutto gira, tutto si muove. E’ giorno, ma è buio. L’attesa scandisce il tempo: adesso arriva, adesso piove. Tutto si gonfia. E poi una goccia, grossa, sola. E poi due e tre e quattro e cento e mille. Non si contano, si ascoltano, è ritmo. Luce. Silenzio. Tuono. Luce. Silenzio. Tuono. Silenzio.
Un attimo, tutto è cambiato. La corda si allenta, è caduta, riposa. Dalla finestra una raffica, fresca, d’aria nuova, fuoco che si spegne, respiro. Respiro. I tuoni parlano, i vetri tremano, è quiete. Leggo, lavoro, penso a te, penso a te. L’acqua colpisce i vetri, violenta. Tutto è calmo. La natura genera la tempesta, la natura si salva.

Rivugghiu d’acqua

M’assettu nta la rina a taliari l’unni di lu mari:
rivugghiu d’acqua che cu lu ventu fa all’ammuri.
Mi grapissi lu pettu pi ghiccarici lu cori
dintra sta raggia d’acqua e sali.
Cori marturiato comu lu mari
di ventu arriminatu,
fatti ammuttari
fatti annacari comu un nutrico
fatti ncuietari mezzu la spuma.
E poi, quannu scura,
quannu u lustru n’abbanduna
torna dintra lu me pettu,
ammucciati dintra li me carni
e r’accussi u duluri
firriannu intunnu un t’attrova
e ni lassa n’anticchia respirari
l’aria nostra, di ventu, di sali.