Vogliamo che la gente conosca la lotta del popolo siriano in modo diverso
Queens of Syria è un film documentario di Yasmin Fedda. Narra la storia di un gruppo di donne siriana rifugiate in Giordania, coinvolte in progetto teatrale volto a mettere in scena le “Troiane” di Euripide e a raccontare, attraverso la tragedia greca, il dramma contemporaneo della Siria e della sua gente.
Queens of Syria è la narrazione di un’esperienza molto forte, capace di raccontare la guerra di Siria dall’interno, senza far sconti alla drammaticità degli eventi, ma caricandoli di quella speranza che la perseveranza della vita porta con sé. Le parole di Euripide sembrano le più adatte ad esprimere il dolore che abita il cuore dei rifugiati siriani.
Rasha, Suad, Maha, Hanan, Hedaya, e tutte le altre donne coinvolte nel progetto portano in cuore e nel corpo una grande pena: il dolore per i parenti uccisi e seppelliti nelle fosse comuni, lo strazio per la distruzione delle proprie case, lo sgretolarsi della vita quotidiana, l’allontanamento dalla propria terra. Nelle lacrime delle troiane, nel canto del loro dolore, man mano che lo spettacolo viene allestito, preparato, provato, le donne siriane ritrovano se stesse. Nei loro gesti all’inizio maldestri e scomposti e alla fine unanimi e pieni di pathos, lo spettatore osserva la forza che viene fuori dalla condivisione di un progetto comune e dalla complicità che ne segue.
I canali ufficiali, i giornali e i Tg, raccontano la guerra di Siria a partire dagli equilibri politici e dalle strategie di potere messe in campo da Stati Uniti, Russia, Turchia e dallo stesso Bashar Al- Assad. Anche il fenomeno delle migrazioni viene raccontato quasi sempre dando voce alle difficoltà di chi accoglie. Ma la guerra così come i viaggi dei migranti verso l’Europa devono poter essere raccontati dai protagonisti, da chi si ostina nella ricerca della vita fino a rischiarla del tutto. Il teatro, la danza, la narrativa forse non risolvono le guerre e non decidono i confini e le alternanze politiche, forse non fermano le bombe e non danno pane a chi ha fame, eppure il linguaggio dell’arte è l’unico capace di trovare parole diverse e punti di vista realistici strettamente legati al sentire delle persone coinvolte.
Attraverso la musica, la street art, il teatro, la poesia, la rivoluzione del popolo siriano continua a perseverare nella ricerca della libertà. Sono infinite le contraddizioni che caratterizzano questa rivoluzione, molte le sue degenerazioni, ma negli occhi di queste donne impegnate nella realizzazione di uno spettacolo teatrale, divise tra i figli, la paura del regime, il desiderio di riscatto, la gestione del dolore, il desiderio di autodeterminazione si scorge una forma di resistenza che riempie di fiducia: Hanno visto la morte, ma continuano a desiderare l’amore, hanno perso tutto ma continuano a immaginare un futuro, hanno visto violenza e distruzione, ma l’una con l’altra sistemano gli abiti e truccano gli occhi prima di andare in scena. Nella loro gestualità quotidiana e nella disponibilità ad imparare un nuovo linguaggio, quello del teatro, si esprime una forza tenace che tiene in piedi un intero popolo e, forse, anche tutti noi.