© Francesca Woodman
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Non perdere il mondo
© 2015 Stephania Dapolla
Ci vuole un alambicco
per passare
da amore ad amore,
per cambiare colore
e non perdere il mondo,
ripetere passaggi
d’anima, morire
di trasformazione.
– Antonella Kubler
P.S: Grazie Alberto.
Come se
Ti amo,
come se dicessi: “Dio sia lodato, sono vivo!”.
Nazim Hikmet
Groviglio d’intenti
Quante cose per le mani
in questo inspiegabile groviglio d’intenti…
Non volermi male.
Certe volte l’importante è vedersi più belli,
quanto basta per sentire che il mondo è vicino.
E non è perfetto.
– C. Consoli, Non volermi male.
Autunno in fiore
Ti bacio di rosso e d’autunno
d’arancio su labbra di loto,
ti bacio di vino e di lava
a vela su passi di strada.
Il tempo opportuno
Oh, saprò aspettare il momento giusto.
Custodirò la tempesta,
fino alla sua esplosione resterò in silenzio.
Il respiro sarà lieve fino a che non sarà colma la furia.
Poi sarà uno scroscio d’acqua senza riparo,
sarà burrasca in ogni anfratto del mondo.
La terrà secca tornerà a partorire germogli,
e l’aridità non scamperà alla vendetta.
Il deserto arretrerà con il terrore negli occhi
e l’umidità esploderà in un canto di tuoni.
Ovunque arriverà la frescura,
ogni spigolo si ricoprirà di muschio.
La piena delle acque nuove sconvolgerà ogni cosa
e nulla resterà al suo posto.
Il vento spargerà sementi ovunque
e non troverà alcun rifugio la desolazione.
Sarò quel che sono fino all’ultima goccia di rugiada
e tutta la fatica cupa dell’attesa si muterà in festa.
Settembre, dovrebbe.
Così dovrebbe essere la vita
se soffia il maestrale a settembre:
priva di mura attorno
e con orizzonti che l’occhio non tiene,
dovrebbe essere a piedi scalzi a schiacciar uva
e fisarmoniche in festa,
dovrebbe essere ebbra di speranze audaci
e fuoco acceso
e membra stanche di lavoro buono.
Dovrebbe sapere di pane caldo e di legna,
di pace all’imbrunire
e tra il vento la voce amata
e acini morbidi di succo,
dovrebbe esser un sorriso lieve
che si apre
e la cesura di molte ferite.
Un mare di pace
Di palme a Palermo ce n’erano a migliaia. Poi è arrivato il punteruolo rosso, un coleottero feroce che le ha sterminate cambiando per sempre il volto della città. Nel cuore di Palermo, però, nel quartiere arabo della Kalsa, alcune palme partigiane resistono e rivendicano il diritto di svettare ancora a lungo verso il cielo, è il Giardino dei giusti.
Io ci sono entrata per la prima volta ieri sera, una delle sere più calde di questa estate del sud, sono andata per partecipare alla manifestazione Giardino in circolo che segna la riapertura delle attivita Arci di Palermo.
Non è molto grande questo Giardino dei giusti, eppure varcando la sua soglia sono salita su una barca di pescatori nel mare di Tunisia, sono stata a Gaza, sotto le bombe, ho solcato il mare fra le pagine di un libro di stoffa, navigato sulle imbarcazioni costruite con l’argilla da mani d’infanzia, sentito addosso il vento di terre lontane, una forza di bene e passione sulle dita che modellano la terra.
Je suis venu de la mer, de la soif, du cri. Je suis voué au cri comme les vents de la mer (“Sono venuto dal mare, di sete, di grido. Mi sono dedicato a piangere come i venti del mare”). Moncef Ghachem è un poeta tunisino che conosce il mar mediterraneo, i suoi pesci, la sua gente. I popoli che nascono e vivono sul mare sono uno strano tipo di gente, infatti: cresce dentro o vicino ai porti, dove si arriva, da dove si parte, senza sosta. Eppure la solitudine ne bacia le labbra e ne risucchia le parole. Sulle rive del mediteraneo si diventa grandi mentre il sole brucia la pelle e il sale corrode il cuore e insieme ne guarisce le ferite, si cresce con gli occhi pieni d’acqua e una sete invincibile. Moncef Ghachem, ha parlato del mare e dei pesci che non ci sono più, tutti divorati dall’ingordigia di chi s’illude d’imbrogliare il mare. I pescatori come Moncef, invece, sanno che il mare prepara la sua vendetta. Parla della razzia del pesce il poeta, per dire la razzia del potere, l’agguato alla parte fragile del mondo, per dire di bimbi morti sulle spiagge, per annunciare che il tempo è scaduto e che bisogna far tornare i pesci nel mare e la giustizia fra gli uomini. Recita i suoi versi con fermezza e discrezione, in arabo, in francese, con uno strano ritmo che ricorda le onde sulla barca nelle notti silenziose di pesca.
Ramy M Balawi, invece, è un giovane uomo, un maestro elementare di Gaza che nel Giardino dei giusti arriva attraverso le parole di una lettera proclamata a voce alta, mentre il buio scendeva lento sulle palme partigiane. La lettera raccontava del divenir uomo tra i morti, dei boati delle bombe che scuotono il letto, di fratellini che urlano la paura alla luce fioca di una candela. Ramy ha raccontato della guerra, ma anche della scuola, l’unico ponte per raggiungere la speranza di una vita migliore, l’unica arma contro l’ingiustizia subita dalla sua gente, l’unica possibilità di riscatto. La biblioteca dei bambini e dei ragazzi Le Balate, che opera nella trincea del centro storico di Palermo, grazie all’impegno generoso di Daniela Thomas, sta unendo le forze per riuscire a condurlo a Palermo e dargli l’occasione d’essere corpo e voce, narrazione ed esperienza, con noi, per noi.
Su un tappeto colorato un libro aperto di stoffa, opera di Angela Di Blasi, si popola delle sagome dei partecipanti disegnate da ciascuno con cura. Parole di pace da affidare a strisce di cotone bianco che sembrano schiuma sul bagnasciuga. Alla terra ci pensa Alberto Criscione.
A lui e al suo blocco di creta si avvicinano grandi e bambini: nasce un’intera flotta di barchette a vele spiegate e poi palline e cubi e fiori e coccodrilli a moltiplicare la gioia della creazione.
In un angolo le mani dello scultore Salvatore Rizzuti partoriscono un volto di donna. La gente capisce, lo circonda, vuole vederlo lavorare, ma lui è irragiungibile: solo con la terra. Con le dita modella quel blocco di creta informe che guarda senza distrazione, come se stesse aspettando il ritorno di qualcuno.
L’arpa di Romina Copernico strappa via dal cuore i brutti pensieri: la gente ascolta con attenzione, si guarda attorno, si riconosce, si saluta, mangia e beve birra e quando il gruppo di Arci Tavola Tonda mette mano agli strumenti, si balla anche. Perchè la festa, la gioia di ritrovarsi insieme vivi è il modo migliore per sabotare le guerre ed anche il modo più nobile di rendere omaggio alle vittime e alla disperazione dei popoli in fuga. Al ritorno le strade del quartiere deserto si accendono di nostalgia, i lampioni riflettono sulle balate: sembra un mare d’oro.
Dovevamo saperlo
Libera gioia
Fortuito sfiorarsi di gomiti
nel pomeriggio afoso di giugno,
accende di scintille la notte.
Raccolgo a mani nude
briciole di fuoco,
una dopo l’altra
nel rincorrersi furioso del buio.
L’eco di cavallerie avanza
blatera a ritmo, la morte
ma l’ombra si dissolve,
codarda
fronteggiare non sa
con lame e parole
il perdurare fisso di uno sguardo.
La vita s’arrampica sulle rovine
rinverdisce lenta
le pietre una ad una perdono pallore.
Gomito a gomito
braccio a braccio
mano a mano
le tenebre sudano,
la fatica, la resa.
Sulla terra striscia
l’amore
di polvere e sangue
si libera gioia
dai corpi
e svuota di ombre e potere
gli antichi sepolcri.