Con dita piccine

La fine dell’anno, il compleanno di Patti Smith, noi tre che partiamo per la campagna. Oramai è un rituale. Una celebrazione del passaggio, silente, ma forte.

Patti Smith

Patti Smith

Sono un tipo da incipit. Con i finali ho fatto sempre fatica e, per molto tempo, la mia resistenza estrema ad ogni trasformazione è stata eroica.

Ma le cose cambiano comunque, a volte finiscono, altre si trasformano e non c’è nulla che possiamo fare per evitarlo.

Per questo andiamo in campagna, perché in campagna s’impara che la trasformazione è necessaria alla vita, che i semi devono marcire sotto terra, le foglie cadere, gli uccelli mangiare i frutti. Andiamo per tacere e per osservare.

Giona e il pianeta terra.

Giona e il pianeta terra.

A volte penso a Patti e alle persone che ha perso: i genitori, un giovane fratello, Robert e molti altri amici nel pieno degli anni, suo marito Fred, che un attimo prima era con lei a prendere il tè, dentro la barca nel giardino di casa, che non avrebbe visto mai il mare, e un attimo dopo era cibo per i vermi.

Il lutto è la peggiore delle mancanze. Non si esaurisce mai, un boccone al giorno per sempre, anche se il tempo ne cambia il sapore e attenua l’amarezza.

Quest’anno ho imparato che il nostro modo di reagire alle cose, di accettarle, di affrontarle è davvero il solo potere che possediamo. Sembra una banalità ed è una consapevolezza che non consola quando si è nel vortice del dolore. Ma aiuta a restare saldi. A darsi il tempo, anche. A non lasciarsi portar via.

Saranno giorni di vento dal Sahara, un capodanno con temperature sopra la media, un vento che scopre e lascia dinanzi alla tragedia climatica del mondo.

A volte mi sento incastrata tra impotenza e ingiustizia.

Non potremo fare altro che aver cura del nostro bambino, lo innamoreremo degli Iris selvatici, del boschetto di querce davanti casa, dei campanacci delle vacche.

La luce della campagna.

La luce della campagna.

Guarderò Carlo muoversi tra gli alberi e cercare semi come i progenitori, mi sembrerà bellissimo e rinnoverò il senso del privilegio.

Carlo e il pianeta terra.

Carlo e il pianeta terra.

Svegliandomi al mattino, cercherò il silenzio fuori dalla finestra, l’odore delle pigne e dei licheni sulla terra. Penserò alla mia famiglia benedicendoli uno ad uno, invocherò lo spirito della forza e della sapienza. Le briciole della colazione saranno la mia Eucarestia, Giona le raccoglierà con le sue dita piccine e per ognuna che porterà alla bocca sussurrerò il mio amen.

Io che mi sveglio, fotografata da Giona.

Io che mi sveglio, fotografata da Giona.

Patti ha realizzato molti dei suoi desideri. Ha lasciato che si trasformassero nel tempo ed ha avuto una incredibile tenacia nell’attesa. Il suo compleanno mi rende felice, i suoi capelli bianchi mi danno coraggio. Al mattino lei si sveglia e trascrive i suoi sogni sul taccuino. Ed io le sono grata per ogni risveglio in cui ha dato credito a se stessa.

Noi proviamo a cominciare così, in una casa antica, con una doccia scomoda, senza TV e con una connessione scarsa. Domani andremo a dormire presto, tutti e tre in un letto e ci risveglieremo al nuovo anno facendo i conti con tutte le debolezze della sera prima.

Ma è bello pensare che l’anno sarà “nuovo”. Non sappiamo nulla di cosa accadrà, ma il desiderio non è un sentire inerme. Dovremmo dargli credito.

Patti e il pianeta terra.

Patti e l’oceano, vicino alla sua casa sul mare, comprata quasi distrutta, e risanata piano, piano, piano.

 

 

 

 

Nella luce del mondo

Luna dei monti Iblei. Foto di @carlocolumbafineart

Luna dei monti Iblei. Foto di @carlocolumbafineart

Le notti di luna piena non riesco a dormire. È così da quando portavo mio figlio in grembo.

Da allora ad oggi ho vissuto questo cambiamento come una fatica, stanchezza aggiunta a stanchezza.

Solo con l’ultima luna ho capito che il problema non era non dormire, ma non poter restare sveglia. Avere un ritmo di vita che non mi permette di offrire una notte allo studio o alla scrittura o a un libro letto d’un fiato, al disegno a star raggomitolata a pensare davanti al camino.

Non so ancora come, ma so che qualcosa cambierà.

E questo basta perché sia capodanno.

Ma io ho anche aggiunto una casa di campagna e l’ultimo libro di Patti Smith.

Foto di @carlocolumbafineart

Foto di @carlocolumbafineart

Leggo di lei mentre mio figlio gira intorno al tavolo con la bicicletta, fuori fa buio presto, la stufa a legna è accesa e Carlo inforna le mele.

Così viaggio dai monti Iblei alla California, osservo le sue visioni e sogno di mangiare tacos di pesce insieme a lei in un locale di Santa Cruz.

Ma io non voglio essere lei. Vorrei solo essere me, come Patti sa essere se stessa.

Per questo sono felice di aver capito il senso delle notti bianche di luna il giorno del suo compleanno.

Felice di sperimentare che nel mio corpo è ancora vivo un richiamo ancestrale antico quanto il mondo.

Stamattina ho guardato il mio amore sotto i mandorli spogli, mi sembrava di scorgere i desideri del suo cuore, tutti illuminati dal sole.

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Ci sono luoghi in cui la parte più vera di noi prende il sopravvento.

Anche Patti ha il suo ed una casa a Rockaway beach. L’ha acquistata che stava appena in piedi, oggi è il suo rifugio. Fino a quando non ha potuto ristrutturarla dopo ogni tempesta correva a contare i danni. Ne trovava sempre, ma la casa è rimasta su quel tanto che serviva ad alimentare il suo sogno, la sua intenzione, la sua necessità.

Casa di Patti Smith a Rockaway beach.

Casa di Patti Smith a Rockaway beach.

Chissà quando abbiamo cominciato a credere alla narrazione che distingue il desiderio dalla necessità, la realtà dal sogno. Come se, poi, anche quello che non si può realizzare, non valesse la pena sognarlo comunque. Fin nei particolari.

Stamattina una foglia di quercia è caduta proprio mentre passava il mio bambino. Lui si è fermato, l’ha guardata fino a quando non ha toccato terra, poi si è voltato, mi ha sorriso un attimo ed ha proseguito.

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Sì guarda intorno con sguardo maturo ed è pronto a cogliere ogni segnale. Sembra più un animaletto selvatico che un bambino.

Anche lui sta imparando che il giorno del compleanno di Patti è un giorno in cui star lieti, una festa di famiglia.

Auguri ragazza mia, benedico ciascuno di questi tuoi settantaquattro anni nella luce del mondo.

Patti Smith ❤️

Il giorno del viaggio

Sam Shepard

Sam Shepard

Il ventisette di luglio è il giorno del viaggio.

Chiudo gli occhi e sono in America. L’America degli spazi sconfinati, dei cavali pazzi al galoppo, dei cieli stellati. Del silenzio. Del vento.

Con gli occhi l’America io non  l’ho mai vista. Ma ho letto Sam Shepard.

Ed ho letto Patti Smith che racconta Sam Shepard.

Ed ho visto i suoi film.

E tra un bacio al sapore di caffè e pause di silenzio sulle strade d’Europa, ne ho parlato all’uomo che amo, che ha il Kentucky selvaggio nel cuore e che si commuove per le storie ruvide d’amore e per gli alberi secolari.

Ho pianto per la morte di Shepard.

Rubo il tempo alle cose urgenti, traduco righe dei suoi testi, dall’inglese, mentre cantano le cicale di luglio e mio figlio dorme sudato e perfetto su lenzuola rosse, piene di pieghe. Un’azione inutile, tempo sottratto al dovere, che mi redime, parola dopo parola.

Sam Shepard è morto piano piano per anni, una malattia lo ha lasciato lucido e consapevole fino alla fine ed ha scritto, finché ha potuto.

Finché ha potuto si faceva portare dai figli sotto al portico di casa sua, per restare immerso nel nulla fin dove l’occhio riesce a vedere.

Non ha riempito nessun vuoto. Lo ha descritto piuttosto. E lo ha abitato come un eremita, perfino ad Hollywood.

Il ventisette di luglio è il mio viaggio nel vuoto. È la mia pratica ascetica. È il mio desiderio pazzo di spazio inabitato.

“Se hai dimenticato la brama, sei pazza”.

P.s. Guardate qui https://youtu.be/GQHs6MoJyZY

L’unica gemma degna d’essere regalata

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Ho steso lenzuola bianche alla luce del tramonto.
Il sole d’estate arrivava, spezzato come pane della domenica, abbondante, moltiplicato, tra i rami di vecchi cipressi.

Le lenzuola sembravano vele di uno scafo. Nel vento era certo il mare.

Sono entrata nella mia stanza, la camera che chiamiamo “Virginia Woolf”.

Mi sono seduta sul tappeto verde acqua. Avrei dovuto lavorare.

Questa volta il sole attraversava i vetri della finestra ricadendo come pioggia d’oro sulla mia piantina, rinvasata di fresco, poggiata sulla cassettiera, accanto ai libri di Patti Smith. Li tengo a parte, come un vangelo.

Allora ne ho aperto uno, ho letto una pagina, ho benedetto lo spirito che “soffia dove vuole”. Tenerla per me, sarebbe un sacrilegio.

Eccola

L’aria era festosa, elettrica. Aprii la porta a zanzariera ed uscii. Sentivo crepitare l’erba. Sentivo la vita – un carbone ardente gettato sul fieno.
Mi coprii il capo. Sarei stata felice di coprirmi le braccia, il volto. Rimasi lì in piedi a guardare i bambini che giocavano e qualcosa nell’atmosfera – la luce filtrata, il profumo delle cose – mi riportò indietro…

Quanto siamo felici da bambini. Quanto viene offuscata quella luce dalla voce della ragione. Vaghiamo nella vita – castoni senza pietra. Finché un giorno non prendiamo una svolta ed eccola lì a terra davanti a noi, una goccia di sangue sfaccettato, più reale di un fantasma, sfolgorante. Se ci muoviamo, rischierà di sparire. Se non agiamo, nulla sarà redento. C’è un modo per risolvere questo piccolo enigma. Dire la propria preghiera. Non importa in che modo. Perché una volta finito si possiederà l’unico gioiello che valga la pena conservare. L’unica gemma degna d’essere regalata.

Una piccola mano mi offrì un dente di leone.

Esprimi un desiderio!

Lo presi. Di un giallo acceso – selvatico, inconsistente e caro a Dio. Trasformarsi per assecondare un nostro desiderio in una nuvoletta canuta. Ciuffi di manna sfilacciata discendono sul mondo…

Esprimi un desiderio, soffia…

Respirare ancora, cos’altro potevo desiderare? Tutto il mio essere si getto in quell’impresa. Avevo dalla mia il cielo con la sua capacità di diventare, in un batter d’occhio, qualunque cosa. Scrutai le nuvole in cerca di presagi, risposte. Sembravano muoversi molto rapide, con forme di cupola, delicato tessuto connettivo. Il volto dell’arte, di profilo. Il volto della negazione, benedetta. 

Cosa facciamo, Grande Barrymore?
Vacilliamo.
Cosa facciamo umile monaco?
Siamo di buon cuore.

E questi consigli, impartiti con una grazia così perfetta, riempirono le mie membra di una tale leggerezza che ne fui sollevata e lasciata a fluttuare sull’erba, anche se a tutti pareva fossi ancora tra loro, avviluppata nei doveri umani, con entrambi i piedi per terra.

da “I tessitori di sogni” di Patti Smith

Giona, mio figlio.

Giona, mio figlio.

 

 

Non ti spaventare mai.

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Patti Smith gira il mondo, dal Giappone alla Francia, dall’Inghilterra alla Tunisia. Cerca le tombe degli scrittori, dei poeti, delle grandi voci femminili dell’arte e della letteratura. Pulisce le lapidi, toglie la polvere e le incrostazioni che la pioggia lascia sulle foto, mette fiori freschi, scatta con la Polaroid un ricordo e scrive versi di gratitudine.

Al cimitero, in questo 2019 che si chiude, io ci sono stata due volte. Ad aprile ho seppellito mia nonna e a dicembre la madre del mio amore.

Di mia nonna so dire poco. Non l’ho ancora pianta la sua morte. Ma so che lei aspetta con pazienza le mie lacrime e il mio addio. Sa che sono infinitamente stanca e provata e che non posso piangere, che mi servono acqua e sale per restare a galla. E, ne sono certa, è sicura che a galla ci riuscirò a stare.
Patti sarebbe affascinata dall’infanzia di mia nonna, vissuta tra le strade di un piccolo paese vicino al mare, sette fratelli una piccola casa, profumata ogni giorno di pane e di buccellati, zucchero e fichi a dicembre. La starebbe ad ascoltare mentre le racconta del suo lavoro al manicomio, quando sulla terrazza stendeva le lenzuola dei malati ad asciugare e si aggiustava i capelli che il vento scompigliava cercando di mandar via dal bucato l’acqua in eccesso e la disperazione di quel luogo. Il nonno passava di sotto in bicicletta, dando voce al campanello che risuonava come una melodia d’amore in una Palermo ancora silenziosa. Lei si riparava gli occhi dal sole per guardare meglio il nonno, lui salutava, lei sorrideva. Poi il nonno le scrisse una lunga lettera, “E che c’era scritto Nonna?”, a distanza di sessant’anni rispondeva ancora: “Le sue cosuzze”, custodendo integro il segreto del loro amore per sempre giovane.

Disegno di Zhera Dogan

La mano di Fatima, disegno di Zehra Dogan

E se potessi portare a Patti una fetta della mia torta all’arancia per il suo compleanno, mi siederei sulla sua poltrona di pelle scansando il gatto e le direi che la nonna mi manca e che non riesco a pensarla senza sentire uno strappo al cuore che non posso sopportare. Le racconterei dell’ultima volta che l’ho vista, ormai a letto e apparentemente senza memoria del presente. Ha aperto gli occhi su mio figlio e gli ha mandato dei baci con la mano che immagino siano arrivati al piccolo come benedizione perenne. Glielo racconterei cercando il conforto che le donne più giovani dovrebbero poter ricevere dalle più anziane, una volta liberate dallo stereotipo crudele che ci vuole nemiche, anziane contro giovani, brutte contro belle, grasse contro magre, madri contro donne senza figli. Una follia, una bugia, una violenza.
Io mi butterei tra le braccia di Patti, e le chiederei di raccontarmi della sera in cui consolò l’insicurezza di Janis Joplin o di quando passava la notte a disegnare sui pavimenti sudici del Chelsea Hotel, mentre i suoi sogni si trasformavano tutti e velocemente senza mai tradirsi o tradire.

La madre del mio amore è morta il primo giorno della novena di Natale. Io la conoscevo da poco anche se nel suo mito ci ero cresciuta e mia sorella porta il suo nome. Con mia madre ha condiviso un anno di viaggi verso una scuola sperduta sulle Madonie. Viaggiavano in tre, con la neve, con il vento, con il caldo. Durante il viaggio lei che era la più anziana coi figli ormai grandi dispensava consigli a chi, come la mia mamma, aveva una bimba piccola ed una appena nata, io. Nessuno avrebbe potuto pensare che un giorno quella bimba appena nata avrebbe corrisposto l’amore del suo primogenito dando vita ad una storia che Patti capirebbe senza troppe spiegazioni con quell’animo di animale fantastico che le è stato dato in dono.
Mio figlio somiglia tanto a sua nonna paterna. Ha le stesse sopracciglia e le stesse espressioni, lo stesso labbro inferiore e lo stesso carattere forte. Non era una donna semplice, la madre del mio amore, un po’ l’ho capito ed un po’ l’ho saputo, ma la fedeltà che ha avuto verso se stessa è per me insegnamento ed eredità.
Anche in questo caso Patti avrebbe ascoltato con devozione i suoi racconti della guerra, di una Roma assediata, della fame, della miseria, della paura e della dignità. L’ho conosciuta poco e per poco, ma i racconti che mi ha fatto di quei tempi io non li scorderò finché avrò vita. I testimoni delle guerre non dovrebbero morire mai: l’attesa del padre, capitano dei Vigili del Fuoco, alla fermata del bus senza nessuna certezza di vederlo tornare, la madre incinta che piangeva al pensiero di come nutrirsi per poter allattare quel figlio che stava per arrivare, quella bomba caduta sul palazzo di fronte al loro, dove una madre che aveva appena partorito e non poteva correre ai ripari è rimasta sotto le macerie insieme alla sua bambina, davanti ai loro occhi che quasi non sapevano più piangere. Per aver superato e raccontato tutto questo io le sarò per sempre grata.

Patti Smith, autoritratto.

Patti Smith, autoritratto.

Il compleanno di Patti è da anni oramai il mio personale capodanno, quel giorno denso di sentimenti e bilanci, di paure e speranze, con un nodo in gola ed il cuore che trema dinanzi all’esistenza che procede senza farsi dominare. Quest’anno, per me quello della resistenza e della vita e della morte avvinghiate fra loro, è così che l’ho voluta celebrare la mia Patti, raccontandole idealmente di queste due donne, di una letteratura orale che resta scritta nella vita delle persone, del mio giro del mondo dentro alle storie incrociate, delle mie passeggiate lungo i viali dei cimiteri della mia città, dove non c’è modo di ripararsi dalla morte che circonda.

Ma una volta, la madre del mio amore, raccontandomi di alcune sue dolorose vicissitudini matrimoniali, mi ha preso la mano fra le sue e mi ha detto: “Non ti spaventare mai, noi ragazze ce la caviamo sempre!”. Questa solidarietà e questa confidenza sono nel mio cuore un argine alla morte.

La condivisione della propria vita accorcia le distanze e crea legami indissolubili. Non importa se questo avvenga tra persone che si conoscono davvero o grazie alle parole che si scrivono e si condividono. Io ho pianto la morte di Fred Sonic Smith, perché Patti l’ha raccontata mettendo in gioco se stessa. Così come ho gioito delle sue gioie e ho avuto con lei paura e fame, con lei ho sopportato i pidocchi ed ho mangiato pane raffermo insieme ai barboni afro americani, poeti notturni di Central Park.
Questa è la forza dei testi di Patti, in quelle pagine si consegna a chi legge, non ignara dei rischi immagino, ma fiduciosa, quasi bisognosa di credere che la forza delle esperienze vere sostiene le persone, disinnesca gli odi e i rancori, attenua i dolori, espande la gioia.

Ecco cos’è questo compleanno/capodanno per me oggi, è un inno di gratitudine per chi è com’è e ne fa dono al mondo.

Buon compleanno Patricia Lee Smith, la vita sia sempre con il tuo spirito.

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La chiave

Sicilia, estate 2017

Sicilia, estate 2017

Tutto quello di cui avevo bisogno mi si era manifestato in un frammento di secondo, come se di colpo sapessi tutte le risposte o la strada esatta per una destinazione impossibile.
Vidi tutto quello che avevo davanti, in un istante che immediatamente scomparve, lasciando però il segno.
Intuii che quando sarei stata pronta avrei avuto la chiave.

  • Patti Smith, Devotion.

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'Patti Smith's hands', foto di Fabio Torre.

‘Patti Smith’s hands’, foto di Fabio Torre.

L’unica cosa su cui si può contare è il mutamento.

Patti Smith, Il tessitore di sogni.

Poiché c’è forza

 Robert Mapplethorpe, Calla Lily (Selenium) , 1988.


Robert Mapplethorpe, Calla Lily (Selenium) , 1988.

Poiché c’è forza…

nel nero più nero
una padronanza assoluta
l’esplosione di una calla
trombe
grazia corporea
c’è una mano ferma
che allaccia stringhe di bambino
e il volto del coraggio
nascosto da  un velo inviolato
c’è una mano ferma
provetta nella trama dei cieli
che si annerano
là dove i cuori puri
si fanno parenti.

Poesia in memoria, Patti Smith.

Stralunata

Patti e Jackson Smith

Patti e Jackson Smith

La sera, perfino la sera quando senti che stai per morire di stanchezza, spettinata e in pigiama, stralunata e tramortita. Perfino quando hai dolori e pensi: “Fottiti malattia del cazzo…però aspe’ non mi ammazzare per favore”, perfino quando non riesci a scrivere per mesi, a pensare per settimane, a parlare per giornate intere e perfino quando il bagno è social e la solitudine bandita, perfino allora stare con il tuo bambino può essere Rock and Roll.

Io l’ho capito oggi, quando ho visto la foto di Patti Smith con il piccolo Jackson e gliel’ho subito inviata alla mia amica Valentina la foto, ma le ho solo saputo dire: Vale, Vale, Vale!!

Stasera invece, mentre veglio sul mio bambino che dorme in macchina, che pare di pasta di mandorla per quanto è bello, proprio qui in un parcheggio del supermercato al tramonto, capisco.

Patti e Fred avevano comprato una barca per vivere sul mare e pescare i gamberetti. Poi Patti ha scoperto d’essere incinta. E allora la barca l’hanno messa in giardino e ci andavano a leggere e a prendere il thè.

Perché bisogna essere morbidi, avere sogni morbidi, flessibili, rimodellabili. E avere un’officina nel cuore e cercare la poesia come fosse pepita d’oro, con l’amore per setaccio, l’amore e il desiderio, desiderio ovunque: dentro, fuori,sulla pelle, sul cuore, in testa, sui genitali, sulle mani, nello stomaco, in mezzo ai piedi.

Lo devo dire a Valentina.

 

Rinnovata devozione

Oliver Ray - Patti Smith, 1997.

Oliver Ray – Patti Smith, 1997.

Dopo aver lasciato la Ventitreesima, mi ritrovai in un limbo. Mia sorella Linda mi procurò un lavoro part-time alla libreria Strand. Comprai cataste di libri che tuttavia non lessi. Attaccai fogli alle pareti con il nastro adesivo ma non disegnai. Infilai la chitarra sotto il letto. Di notte, da sola, mi mettevo seduta e aspettavo. Per l’ennesima volta mi ritrovai a meditare su ciò che avrei dovuto fare per realizzare qualcosa di meritevole. Le uniche cose che mi venivano in mente mi parevano irrispettose o irrilevanti.

Il primo dell’anno accesi una candela per Roberto Clemente, il giocatore di baseball preferito di mio fratello; era morto durante una missione umanitaria, mentre portava aiuti in Nicaragua in seguito ad un terribile terremoto. Mi rimproverai per l’apatia e l’autocommiserazione di cui stavo dando prova, e promisi rinnovata devozione al mio lavoro.

Patti Smith, Just Kids.