Patti Smith gira il mondo, dal Giappone alla Francia, dall’Inghilterra alla Tunisia. Cerca le tombe degli scrittori, dei poeti, delle grandi voci femminili dell’arte e della letteratura. Pulisce le lapidi, toglie la polvere e le incrostazioni che la pioggia lascia sulle foto, mette fiori freschi, scatta con la Polaroid un ricordo e scrive versi di gratitudine.
Al cimitero, in questo 2019 che si chiude, io ci sono stata due volte. Ad aprile ho seppellito mia nonna e a dicembre la madre del mio amore.
Di mia nonna so dire poco. Non l’ho ancora pianta la sua morte. Ma so che lei aspetta con pazienza le mie lacrime e il mio addio. Sa che sono infinitamente stanca e provata e che non posso piangere, che mi servono acqua e sale per restare a galla. E, ne sono certa, è sicura che a galla ci riuscirò a stare.
Patti sarebbe affascinata dall’infanzia di mia nonna, vissuta tra le strade di un piccolo paese vicino al mare, sette fratelli una piccola casa, profumata ogni giorno di pane e di buccellati, zucchero e fichi a dicembre. La starebbe ad ascoltare mentre le racconta del suo lavoro al manicomio, quando sulla terrazza stendeva le lenzuola dei malati ad asciugare e si aggiustava i capelli che il vento scompigliava cercando di mandar via dal bucato l’acqua in eccesso e la disperazione di quel luogo. Il nonno passava di sotto in bicicletta, dando voce al campanello che risuonava come una melodia d’amore in una Palermo ancora silenziosa. Lei si riparava gli occhi dal sole per guardare meglio il nonno, lui salutava, lei sorrideva. Poi il nonno le scrisse una lunga lettera, “E che c’era scritto Nonna?”, a distanza di sessant’anni rispondeva ancora: “Le sue cosuzze”, custodendo integro il segreto del loro amore per sempre giovane.
La mano di Fatima, disegno di Zehra Dogan
E se potessi portare a Patti una fetta della mia torta all’arancia per il suo compleanno, mi siederei sulla sua poltrona di pelle scansando il gatto e le direi che la nonna mi manca e che non riesco a pensarla senza sentire uno strappo al cuore che non posso sopportare. Le racconterei dell’ultima volta che l’ho vista, ormai a letto e apparentemente senza memoria del presente. Ha aperto gli occhi su mio figlio e gli ha mandato dei baci con la mano che immagino siano arrivati al piccolo come benedizione perenne. Glielo racconterei cercando il conforto che le donne più giovani dovrebbero poter ricevere dalle più anziane, una volta liberate dallo stereotipo crudele che ci vuole nemiche, anziane contro giovani, brutte contro belle, grasse contro magre, madri contro donne senza figli. Una follia, una bugia, una violenza.
Io mi butterei tra le braccia di Patti, e le chiederei di raccontarmi della sera in cui consolò l’insicurezza di Janis Joplin o di quando passava la notte a disegnare sui pavimenti sudici del Chelsea Hotel, mentre i suoi sogni si trasformavano tutti e velocemente senza mai tradirsi o tradire.
La madre del mio amore è morta il primo giorno della novena di Natale. Io la conoscevo da poco anche se nel suo mito ci ero cresciuta e mia sorella porta il suo nome. Con mia madre ha condiviso un anno di viaggi verso una scuola sperduta sulle Madonie. Viaggiavano in tre, con la neve, con il vento, con il caldo. Durante il viaggio lei che era la più anziana coi figli ormai grandi dispensava consigli a chi, come la mia mamma, aveva una bimba piccola ed una appena nata, io. Nessuno avrebbe potuto pensare che un giorno quella bimba appena nata avrebbe corrisposto l’amore del suo primogenito dando vita ad una storia che Patti capirebbe senza troppe spiegazioni con quell’animo di animale fantastico che le è stato dato in dono.
Mio figlio somiglia tanto a sua nonna paterna. Ha le stesse sopracciglia e le stesse espressioni, lo stesso labbro inferiore e lo stesso carattere forte. Non era una donna semplice, la madre del mio amore, un po’ l’ho capito ed un po’ l’ho saputo, ma la fedeltà che ha avuto verso se stessa è per me insegnamento ed eredità.
Anche in questo caso Patti avrebbe ascoltato con devozione i suoi racconti della guerra, di una Roma assediata, della fame, della miseria, della paura e della dignità. L’ho conosciuta poco e per poco, ma i racconti che mi ha fatto di quei tempi io non li scorderò finché avrò vita. I testimoni delle guerre non dovrebbero morire mai: l’attesa del padre, capitano dei Vigili del Fuoco, alla fermata del bus senza nessuna certezza di vederlo tornare, la madre incinta che piangeva al pensiero di come nutrirsi per poter allattare quel figlio che stava per arrivare, quella bomba caduta sul palazzo di fronte al loro, dove una madre che aveva appena partorito e non poteva correre ai ripari è rimasta sotto le macerie insieme alla sua bambina, davanti ai loro occhi che quasi non sapevano più piangere. Per aver superato e raccontato tutto questo io le sarò per sempre grata.
Patti Smith, autoritratto.
Il compleanno di Patti è da anni oramai il mio personale capodanno, quel giorno denso di sentimenti e bilanci, di paure e speranze, con un nodo in gola ed il cuore che trema dinanzi all’esistenza che procede senza farsi dominare. Quest’anno, per me quello della resistenza e della vita e della morte avvinghiate fra loro, è così che l’ho voluta celebrare la mia Patti, raccontandole idealmente di queste due donne, di una letteratura orale che resta scritta nella vita delle persone, del mio giro del mondo dentro alle storie incrociate, delle mie passeggiate lungo i viali dei cimiteri della mia città, dove non c’è modo di ripararsi dalla morte che circonda.
Ma una volta, la madre del mio amore, raccontandomi di alcune sue dolorose vicissitudini matrimoniali, mi ha preso la mano fra le sue e mi ha detto: “Non ti spaventare mai, noi ragazze ce la caviamo sempre!”. Questa solidarietà e questa confidenza sono nel mio cuore un argine alla morte.
La condivisione della propria vita accorcia le distanze e crea legami indissolubili. Non importa se questo avvenga tra persone che si conoscono davvero o grazie alle parole che si scrivono e si condividono. Io ho pianto la morte di Fred Sonic Smith, perché Patti l’ha raccontata mettendo in gioco se stessa. Così come ho gioito delle sue gioie e ho avuto con lei paura e fame, con lei ho sopportato i pidocchi ed ho mangiato pane raffermo insieme ai barboni afro americani, poeti notturni di Central Park.
Questa è la forza dei testi di Patti, in quelle pagine si consegna a chi legge, non ignara dei rischi immagino, ma fiduciosa, quasi bisognosa di credere che la forza delle esperienze vere sostiene le persone, disinnesca gli odi e i rancori, attenua i dolori, espande la gioia.
Ecco cos’è questo compleanno/capodanno per me oggi, è un inno di gratitudine per chi è com’è e ne fa dono al mondo.
Buon compleanno Patricia Lee Smith, la vita sia sempre con il tuo spirito.