I libri, i vocabolari dicono che locus communis era, nelle città, il luogo dell’incontro, del confronto, era il forum, era la piazza. Oggi, il luogo comune è invadente, abitant delle nostre case e, spesso, delle nostre teste. A volte, penso che l’80% di quanto ci fa soffrire nella vita sia causato dai luoghi comuni ai quali non riusciamo ad aderire o dai quali non riusciamo a svincolarci.
Luogo comune. Un tempo erano i proverbi, un tempo, luogo comune, era la cantina, dove venivano conservati i cibi costosi e il vino buono. Un luogo nel quale, con la pazienza della formica e la speranza della cicala, si riponevano e si custodivano le cose imparate con fatica.
No, non è un elogio retorico del tempo che fu, anche perché io, nel tempo che fu, non ci sono ancora stata. Io, ad oggi, sono l’oggi, quello che, magari ancora per poco, possiede più futuro davanti che passato alle spalle. È solo che, da qualche giorno, a causa di parole ricevute e dette, il pensiero del luogo comune mi viene a far visita. Lo incontro ovunque, v’inciampo ad ogni passo.
Oggi, il luogo comune, non è più cantina fresca di prelibatezze. Oggi, il luogo comune è un posto malsano. Umido, con la muffa nera delle infiltrazioni d’acqua. Non vi entra luce. È un posto buio che risucchia e che priva del senso d’orientamento. Luogo comune. Ne siamo più schiavi e più complici di quanto crediamo. Basta fare la prova: accendere la tv, camminare per strada, ascoltare, guardare la gente e…provare a soffermarsi un attimo sulle cose che, di rimando, ci si trova a pensare.
Una mia amica mi racconta che, tanti chili fa, quando andava dal tabaccaio a comprare le gomme da masticare, quest’ultimo prendeva i soldi, dava il resto e lo scontrino senza neanche guardarla in faccia, rispondendo in modo veloce e sgarbato al suo saluto cortese. Oggi, che la mia amica è bionda e bella e truccata e magra, il tabaccaio, l’impiegato delle poste o il conducente del bus rispondono in modo caloroso e sorridente al suo saluto cortese. Certo, così corro il rischio di cadere nel luogo comune “maschio affamato”, appunto, ma, di fatto, questa è la sua esperienza. È quasi più forte di noi: i magri sono felici, i magri e belli sono strafelici! Altro amico, ragazzo di colore. Artista. Una sera stava appoggiato ad una macchina in attesa di altri amici. Un signore, quello della macchina accanto, si è avvicinato e, frettoloso, ha detto: “grazie”, allungando sul palmo della mano del mio amico la generosa ricompensa di 50 centesimi per aver custodito la sua automobile. Vero. Ragazzo di colore appoggiato alla macchina = posteggiatore abusivo. E si. Luogo comune. Posto umido e malsano, dove si accumulano tutte le scorie dei nostri pensieri non riflessi. È frutto marcio del luogo comune chi, sul cartellone della pubblicità di una compagnia telefonica che promuove tariffe convenienti per la romania, scrive: “rumene puttane”.
Ma questi sono i luoghi comuni con la divisa, quelli che, basta un poco di attenzione, si riconoscono. Più o meno tutti. Ci sono però i luoghi comuni che sanno mimetizzarsi meglio, abili trasformisti, capaci di prendere le sembianze dei ricchi e dei poveri, dei vecchi e dei giovani, degli intelligenti e degli stupidi. Basta leggere alcuni dei titoli delle testate nazionali più importanti per rendersene conto: “Bella brasiliana uccisa dal fidanzato geloso”. E mi fermo. Anche perché, gente molto più importante e capace di me ha scritto, a riguardo, articoli sapienti. Il luogo comune nuoce gravemente alla salute.
Ma il problema è che il luogo comune non è una bugia, una favola triste e cattiva senza radici nella realtà. Il luogo comune si nutre della realtà. Possiede una radice di verità. Se così non fosse il suo potere non sarebbe infido e ammaliante. Si attacca alla realtà e la stritola, come una piovra. Ne risucchia la linfa vitale, la trasforma, anzi la rende difforme. La fa diventare altro. Ne lascia i contorni, appena riconoscibili. Ma la sostanza, la linfa è avvelenata. E così se non ci si sposa entro i quarant’anni si è zitella, come si diceva una volta, o lesbica, come si dice oggi, come fosse un’offesa. Se sei prete sei pedofilo, se sei suora hai i baffi, se sei ricco sei ladro e se sei povero sei ladro, pure. Se sei zingaro rubi negli appartamenti e se sei brasiliano giochi bene a calcio, se hai un buon lavoro sei raccomandato e se hai la “r” moscia sei snob. E si potrebbe continuare, a lungo.
Io insegno religione cattolica nelle scuole. E ci nuoto tra i luoghi comuni, anzi, certe volte ci affogo. Il primo anno d’insegnamento, per cercare di fuggire all’idea/clichè dell’insegnante di religione, mi sono tinta i capelli di blu. Sono rimasti tutti spaesati, forse lo sono stata per un poco anch’io. Poi ho capito che per sottrarmi al luogo comune dovevo…parlare. Usare le mie parole e non lasciarmi usare da quelle degli altri. Dovevo comunicare, comunicarmi, dovevo ascoltare e sentirmi libera di dire la mia. Dovevo incontrare e lasciarmi incontrare dagli altri. Il luogo comune si vince con il dialogo. Quante volte, sarà successo anche a voi, di incontrare qualcuno, di parlare con qualcuno, appartenente magari ad una tipica categoria da luogo comune e sentirvi spiazzati da tale esperienza. La conoscenza, il dialogo, il confronto, squartano i luoghi comuni. Proprio li strappano via. E pare di rimanere nudi, di non potersi proteggere, nascondere e difendere. Gli altri, la vita, la realtà assalgano e costringono a rimodulare, continuamente il pensiero, le parole, i progetti, i desideri. E ci si domanda chi si è, chi si vuole essere e perché, a dieci, venti, quaranta, sessant’anni. Sempre.
“In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».” (Lc 15,1-2). I pubblicani e i peccatori “ascoltano”, i farisei e gli scribi “mormorano”, verbo greco, usato nella traduzione della LXX, per indicare il parlare sommesso e tagliente del popolo: rimprovero continuo a Mosè per il ritardo della promessa di Dio, e per quella Sua presenza che non risparmia la ferocia del deserto. Il mormorio nutre il luogo comune, l’ascolto lo lascia morire di fame. Scribi e farisei avevano già deciso chi fosse Gesù. Ogni parola che egli diceva, ogni gesto che Gesù faceva, finiva dentro alla definizione che avevano deciso per lui, causa di una condanna già emessa. Peccatori, pubblicani, prostitute, lebbrosi, ciechi, zoppi avevano, invece, la necessità di sapere chi fosse. Quando si sta male si vuole guarire. Lo si vuole più di qualunque altra cosa al mondo. Si cerca conforto, sollievo, salvezza, come il cieco di Gerico che per la confusione attorno a sèé, chiede alla folla, interroga, domanda. Avvertito della presenza di Gesù Nazareno, si alza in piedi e grida, spacca l’aria a piena voce: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”. (cfr. Mc 10, 46-52)
Dare spazio all’incertezza dell’incontro, al rischio della condivisione, alla fragilità della reciproca conoscenza è alzarsi, uscire dal luogo comune, è gridare aiuto, spaccare l’aria. E bisogna credere che l’aiuto arriverà, da ciò che noi stessi siamo, dalla vita, da Dio. L’aiuto arriverà. E piano piano saremo liberi di esistere e lasceremo agli altri, al mondo, alla vita e anche alla morte la possibilità di sorprenderci cioè lasciarci cogliere/prendere da “sopra”, gesto sapiente del contadino, il quale pone nelle ceste il frutto buono che toglie la fame.