Ho acquistato “Itaca per sempre” in una delle librerie indipendenti più belle della mia città.
Era un pomeriggio caldissimo di agosto, uno di quelli con le strade deserte e la pelle bagnata di mare e umidità.
Non sapevo che l’avrei comprato e portato a casa con me. Non conoscevo il testo e, ahimè, non conoscevo neppure Luigi Malerba. Ma il titolo mi ha afferrato lo sguardo e non ho più potuto cercare ancora o scorgere altrove.
Ho impiegato mesi a leggere “Itaca per sempre”, nonostante mi entusiasmassi ad ogni riga, nonostante le parole facessero scintille e mettessero a ferro e fuoco le cose che sapevo, le cose che credevo. Anche poco, era troppo. E dovevo misurarmi costantemente con la mia capacità di comprendere le trame dell’animo così magistralmente narrate.
Luigi Malerba racconta quello che l’Odissea di Omero evoca, appena. E così mi appare il testo antico da allora, come un canovaccio sul quale ciascuno costruisce la trama della propria storia personale. L’Odissea è di tutti ed è per tutti.
Malerba intesse una storia fittissima, fatta di pochissime parole pronunciate e moltissimi parole pensate nell’intimità del proprio travaglio. Restituisce a Penelope la grandezza del personaggio che incarna, la forza, la perseveranza dell’attesa, la fierezza e la crescita, avvenuta giorno dopo giorno durante la prigionia della solitudine e l’oppressione quotidiana dei Proci.
Io l’ho amata moltissimo durante la lettura di “Itaca per sempre” e mi sono chiesta quanto ci sarebbe sembrata grande l’avventura di Ulisse senza l’attesa di Penelope, quanto ci avrebbero coinvolto le peripezie straordinarie dell’astuto Odisseo senza che ci fosse un’Itaca da raggiungere.
Luigi Malerba mostra di Ulisse la debolezza e la stanchezza. Ne fa emergere la confusione che scaturisce dalla tenacia di Penelope, decisa a non accettare d’essere esclusa o considerata non capace di poter gestire il disvelamento della sua identità. Ulisse si rivela a Telemaco, alla serva, ma non a Penelope e lei questo non lo accetta. Patisce e si dispera, ma pretende che il suo uomo le dia fiducia, si faccia riconoscere, la coinvolga nella vendetta verso i Proci.
Ulisse guarda Penelope cercando la giovane regina lasciata ad Itaca molti anni prima, ma non la trova. Penelope cerca il re baldanzoso e furbo partito per una guerra che è stata, sopratutto, la più profonda delle trasformazioni. Finché cercano entrambi l’idea che ciascuno aveva conservato dell’altro non riescono a trovarsi. Solo quando restano nudi uno di fronte all’altra, nudi e diversi riescono a riconoscersi e ad amarsi in un modo totalmente differente rispetto a quello che avevano provato a conservare integro per così tanto tempo.
Nell’amore, pare, che nulla possa restare integro e uguale a stesso.
Penelope accoglie in casa un uomo completamente cambiato, un uomo profondamente differente da quello che aveva scelto e sposato e Ulisse si innamora nuovamente e diversamente della donna che attendendolo aveva mutato di lei ogni cosa.
Né io né Penelope eravamo più gli stessi. Avventure, naufragi, dolori, solitudine, inganni e alla fine tanto sangue, avevano segnato i nostri animi e i nostri volti come il vento e le intemperie segnano le pietre.
In amore, pare, non ci sia nulla che si possa trattenere o conservare.
Penelope è rimasta sempre ad Itaca, ma ha compiuto un viaggio coraggioso quanto quello di Ulisse, perché ha messo in discussione tutto, ha perduto tutto, ha rischiato tutto ed ha costruito il futuro del proprio amore sul cambiamento di se stessa, profondo, terribile, destabilizzante, ma potente e verissimo. Luigi Malerba, con la sua narrazione incalzante e puntuale, descrive la metamorfosi di una donna che non si piega ad un ruolo né ad una mancanza ma che ha cura di trasformarsi e vivere e di amare ogni cambiamento con coraggio e benevolenza verso se stessa. Una benevolenza mai facile.
L’amore ritrovato è un amore complesso, accoglie le ferite che ciascuno ha ricevuto o inferto e lascia al dubbio e alle paure libertà di pungere il cuore. L’amore non si può difendere dalla complessità della vita, dalle spigolosità e dai vuoti incomprensibili e incolmabili dell’animo.
Ma, allo stesso tempo, non si piega all’infelicità e scalpita e si ribella ad ogni costrizione che lo vorrebbe trattenere, gestire, controllare, anche se questo desiderio di possederlo è dettato dalle intenzioni più nobili o dai disagi più incomprensibili.
L’amore va dove alla vita è permesso di accadere, di sconvolgere, di trasformare, di guarire, di ricominciare. Itaca non è la meta di un ritorno, nell’isola nulla resta uguale. Itaca è la possibilità di far pace con la propria storia, è il “luogo” dove imparare ad amare se stessi ad ogni trasformazione perché è ad ogni trasformazione che la vita si rinnova e ci rigenera.
A Penelope non importa che l’Ulisse ritrovato sia realmente l’Ulisse partito da Itaca molti anni addietro. E’ un’audacia quasi scandalosa, la sua. Le importa che l’uomo ritrovato sia quello capace di amarla, di starle vicino, di accettare la sua determinazione ad essere se stessa.
L’amore, pare, debba essere audace per essere felice.
E scoprire nuove rotte e rischiare naufragi perché la meta continuamente muta e va cercata diversamente e altrove.