Ciao Abuna Paolo.
Eccomi qui, mentre mi appresto a fare la cosa più inutile che posso, quella che meno può servire alla tua vita e al paese che hai scelto come tuo: scrivere una lettera.
Parole inabili. Incapaci. Parole senza braccia per venirti a liberare, senza gambe per aiutare i bambini a scappare dalle bombe, che nell’attesa che arrivino ti frantumano dentro e che, quando atterrano, ti frantumano il corpo.
Parole.
Ma porta pazienza, ti prego, perchè solo parole mi pare di possedere, e di tenermele tutte scomposte dentro al cuore, non ho più forza e pazienza.
La prima volta che ti ho sentito parlare ero in RAI. Le domande sapienti di Gabriella Caramore ti hanno reso agile, con la sola forza della voce, dire chi sei. La radio l’amo per questo, perchè fra i cinque sensi l’udito regna. In radio quello che dici è davvero più importante di come appari. (http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/puntata/ContentItem-f86e393a-2749-4a48-be17-7809f1b8802d.html)
Ti ho ascoltato. E mentre ti ascoltavo mi pareva si agitasse in me il mostro multiforme dell’inquetudine. Quello che si odia perchè rende zoppo il trascorrere quotidiano dei giorni, quello che non si riesce a domare, perchè costringe la vita ad occhi aperti e insonni.
In poche battute hai raccontato di te e del tuo cammino, da Roma all’oriente, dal centro del cattolicesimo all’islam, dal dogma alla vita, esperienza di relazioni meticce. L’ossessione della religione pura: pericolosa, viscida tentazione. Ordine contro il disordine di mense condivise, definizioni e teorie contro bambini musulmani e cristiani che giocano la domenica, alle porte del monastero di Mar Musa. E mentre a colpi di dottrina Roma tentava di mettere i puntini sopra le “i” della fede in forma teorica, in Siria, insieme ai tuoi, mangiavi il pane dei credenti in Allah.
Pane, e polvere di deserto tra i piedi.
Abuna Paolo, dicono che fra qualche giorno bombarderanno la Siria. Ed io ti chiedo scusa. Il fallimento politico pesa come pietra dura sullo specchio fragile della nostra democrazia. Quasi un milione di morti è costata la nostra attesa. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha preso tempo per verificare l’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito di Assad. Abbiamo preso il tempo e ne abbiamo esasperato la relatività. Un minuto è per l’ONU un tempo pressochè inutile. In Siria, in un minuto, muoiono più di 300 persone. La somma dei minuti presi dall’ONU per “valutare” non ha condotto a soluzione alcuna. La somma degli stessi minuti ha fatto 90mila morti in terra di Siria.
Il potere economico di Cina e Russia tiene in ostaggio la comunità internazionale.
In questi giorni guardo spesso in giro per casa, credo che la maggior parte delle cose che possiedo siano made in China. E mi pare che ogni oggetto corrisponda a uno di quei cadaveri avvolti fra le lenzuola, in fila, a turno, verso una vita migliore.
Ti chiedo scusa. Per quello che non ho potuto e non so fare. Sono incapace di dare forma allo sdegno, alla rabbia, a quel poco di senso di giustizia fuggito all’anestetico di cui, volente o nolente, mi nutro ogni giorno. Per sopra–vivere, per passare cioè sopra la superficie della vita, scivolarci sopra senza passarci dentro, perchè se alla vita ci passi dentro non sai se ne esci vivo.
E così ti abbiamo nutrito di solitudine e tu sei diventato un gigante.
L’ho sentito con le mie orecchie. Ti criticano in molti e chissà da quanto tempo. Hai fatto un gravissimo errore, quello che sempre meno viene perdonato: ti sei schierato. Hai detto a tutti, gridandolo, da che parte stavi! Ma è mai possibile che nessuno ti abbia detto che schierarsi uccide? A schierarsi si resta nudi e si diventa bersagli. Tutti saranno pronti a mostrarti la follia della tua scelta, l’imprudenza, la non ragionevolezza. E poi è fin troppo facile dimostrare il tuo errore. Nel fitto groviglio della situazione Siriana, nel delicato gioco di equilibri di un paese in guerra, tu ti sei schierato. A fianco di amici, di gente che sono il volto della tua vita quotidiana, ma che per noi sono una massa poco definita di ribelli. Un miscuglio di estremismo e di pericolo, fondo torbido e opaco di quel pozzo nero che noi chiamiamo Islam. Hai scelto di stare con coloro che noi consideriamo assasini, mercenari, estremisti, mine pronte a scoppiare sotto il culo dell’occidente.
Io mica lo so se tu hai ragione. Perchè da qualunque parte della vita ti fermi a guardare la realtà ti dicono sempre che è la parte sbagliata. Ci sono cose che non sai, ci sono cose che non vedi, sfumature che guardate da altra angolazione permettono di avere la visione opposta.
Sempre, ti ritrovi sempre dalla parte sbagliata. E così tutto è vero e falso allo stesso tempo e non ti resta che arrenderti alle ragioni del più forte.
“I cristiani vogliono Assad” – dicono. Hai sempre affermato che non è così.
Ti abbiamo nutrito di solitudine e sei diventato un gigante.
Tu dici di te stesso che se fossi rimasto a fare il gesuita in Italia saresti scoppiato. E infatti per rimanere fedele a quanto avevi percepito vero, dai gesuiti te ne sei andato. E poi sei tornato. O ti hanno riammesso. Dipende da quale parte ti metti a guardare, appunto.
Sei strano – dicono – inquieto. Un po’ matto. Sei uno che se ne frega delle cose così come dovrebbero essere. E, infatti, ti sei incamminato tra sentieri di guerra. Sei tornato da dove ti avevano espulso per provare a far dialogare chi è incapace di comunicare se non a colpi di arma da fuoco. Hai fatto quello che non spettava a te, secondo quella distinzione di ruoli e responsabilità che ci rende tutti colpevoli e tutti innocenti. Un’invasione di campo, la tua.
Ti abbiamo nutrito di solitudine e sei diventato un gigante.
E la politica, che di pane e di polvere tra i piedi non se ne intende, adesso aggiungerà sangue a sangue. Un’addizione che non aumenta, ma sottrae vite alla vita. Anche la nostra democrazia non conosce che il rombo cupo delle armi per curare l’anemia di dialogo.
La comunità internazionale ha fallito. Ancora, di nuovo. E le comunità cristiane? Forse solo i tuoi compagni di vita sparsi per il mondo si sono messi insieme per capire, conoscere e pregare.
Io non ho sentito di parrocchie senza sonno, a vegliare per implorare la pace in Siria. O semplicemente di comunità che durante la celebrazione dell’Eucarestia pregano, insieme, come “corpo”, consapevolmente, per la Siria e per la pace. Non ho ascoltato di omelie a suscitare pietà dei morti e dei vivi di questa guerra assurda. Leggiamo fiumi di articoli sulle parole e l’operato di Papa Francesco. Sappiamo tutto, cosa porta nella sua borsa personale quando viaggia, sappiamo dove va, cosa fa, cosa mangia, cosa dice, cosa pensa e a chi telefona e perchè. Ci stupiamo della sua “normalità”, ne facciamo notizia, abituati come siamo a pensare che “religioso” voglia dire diverso, speciale, altro. Tutto il contrario di Gesù che è uguale, umano, vicino. E l’ignoranza del popolo di Dio riguardo alla sorte di milioni di persone in Siria, come in Egitto, come in Somalia o come nelle periferie delle nostre città è una ignoranza sempre meno sopportabile. La scissione tra liturgia e vita e destino del mondo attorno a noi è una ferita che rischia di farci morire dissanguati, tutti.
Allora, ti prego, resisti Abuna Paolo, torna. Dobbiamo tutti rimproverarti per la tua imprudenza, per i tuoi schieramenti extramagisteriali e troppo biblici. Torna a prenderti le nostre critiche e a darci in cambio il tuo sorriso, la tua vita esagerata, il tuo modo di essere eccessivo, imbarazzante, inopportuno.
Le nazioni usano le armi. Noi proviamo a riporre la nostra fiducia nel Signore della storia, così, piccoli come siamo, invochiamo pace e dialogo e pietà.
“Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gen 4,9). Si Caino, sei proprio tu il custode di tuo fratello.