Un canto di gioia in lingua straniera

(Foto di Carlo Columba)

(Foto di Carlo Columba)

Ha occhi di satiro che incantano i cani. Gli girano attorno come una festa.
Tra i capelli una burrasca e in gola le voci di venti lontani. Non ha casa né patria, ma non si allontana oramai oltre il rumore della risacca. Ovunque ha bisogno, come aria, del canto del mare.

A mani nude ne coglieva i frutti, a pelo d’acqua e giù, più a fondo, dove gambe di ragazzo lo spingevano a cercare il punto di congiunzione tra la vita e la morte. Lì, tra i polpi e le roccia, privo di aria e di fiato, sentiva l’eco di sé bambino e manteneva il contatto con gli avi e con i semi futuri.

Sugli alberi la notte cercava riparo, aveva un cuore solitario che parlava una lingua straniera, diversa dalla sua. Si comprendevano a gesti, un linguaggio muto di segni segreti filtrato dalle foglie e dalle rughe profonde delle cortecce. Le fronde lo riparavano dalla luce bianca e blu riflessa dal mare, perché lui sempre volgeva lo sguardo dove gli occhi di altri non potevano posarsi a lungo. Sul far della sera cantava coi merli e con le braccia forti si dondolava fra i rami, sempre in equilibrio tra cadute rovinose e salti da acrobata.

Una notte volle misurarsi nella corsa, fare diversamente, saltare la caccia dei ricci tra l’acqua e il sale, l’apnea che gli era familiare, le fronde del riparo e il canto notturno degli uccelli. Corse a perdifiato, fu bravo. Era veloce anche a terra e i piedi si abituarono presto al suolo e alle pietre d’inciampo. Corse troppo veloce però,  e si ritrovò lontano dal mare e dagli alberi, perse il richiamo della risacca e si spense in lui la luce del satiro. Mancarono di forza le braccia e i polmoni si abituarono all’aria. I cani lo seguivano in fila, muti. Riuscì tuttavia ad amare la terra, i sassi, la luce fioca, ma il cuore smise di parlare la sua lingua straniera e non c’erano più merli a salutare la notte.

Fu un vento venuto da lontano a riportarlo a casa, in un giorno di fitto silenzio. Soffiava dal mare verso il centro della terra, soffiava, soffiava e gli riportò alle orecchie la risacca, il sale e il guizzo di pesci nelle acque profonde.
All’improvviso cominciò a correre, di nuovo, senza pensare, come sospinto da un incantesimo atteso, come un’urgenza di vita a trapassargli di ardore e dolore le membra. Correva a perdifiato, anche questa volta, ma nella direzione opposta. Pativa la stanchezza, la paura del richiamo, il pensiero di non trovare nulla di quanto avesse lasciato. Invece, il mare, era lì. Accecante di bianco e di blu. Lo fissò a lungo e dall’agitarsi festoso dei cani capì di aver riaperto lo sguardo alla luce del satiro. Si arrampicò a fatica su un albero e senti il cuore intonare un inno di gioia in lingua straniera.

Da allora il mare lo richiama ogni notte. Ma lui, ogni notte, aspetta. Il ragazzo che stringeva tra le mani i polpi vivi e ne succhiava la vita con la bocca di labbra carnose, si era perduto. Non poteva tornare in acqua prima di ritrovarlo. Ad ogni tramonto, sul far della sera, con suono cristallino i merli ne invocano unanimi il ritorno e tutte le creature del mare attendono di rivederli insieme, per ricongiungere gli avi ai semi futuri.

Di fronte, a sinistra.

La terra ha le viscere. Sotteranee e profonde.
Tra i cunicoli di queste viscere umide viveva una Ragazza. Non era nata lì, viveva in superficie, prima. Sottoterra c’era finita un giorno, per caso. Aveva sbagliato strada, si era persa, gli avevano fracassato il senso dell’orientamento, fu una vile aggressione. Un gruppetto di uomini e donne ben organizzato, vestiti di scuro, tutti uguali. Cercava la strada, la Ragazza. “Unisciti a noi” – gli disse il gruppetto, all’unisono, avvolto di tenebre. La Ragazza li seguì, ma poi si accorse che si addentravano in profondità, sempre più in fondo, sempre più al buio. E allora, la Ragazza, sentì nelle sue di viscere un istinto insopprimibile di luce, un desiderio di aria che la stordì. Si voltò, di scatto e si diresse correndo nella direzione opposta alla loro. Se ne accorsero quasi subito, cercarono di riacchiapparla, ma erano vecchi e storpi, e lei aveva piedi giovani, e correva. Si voltò, appena un attimo, per sentirsi rassicurata dalla distanza conquistata, ma una donna avvolta di buio la guardò e riuscì a fracassarle il senso dell’orientamento, ad avvelenare le radici buone del suo istinto.

Rimase sola e immobile. Il silenzio e il buio attorno. Cominciò a vagare in cerca di un’uscita. Niente. Passarono gli anni, e pensò diverse volte di essersi avvicinata alla luce, di vederla filtrare sotto la spessa coltre di terra, pietra e radici profonde. Niente. Nessun varco. Un giorno, camminava con gli occhi bassi e il buio dentro, occhi abituati alle tenebre e inciampò. Si ritrovò con la faccia a terra e mentre si tirava su cercava con le mani di spazzar via dal volto la polvere nera del suolo. Non era un sasso, né un ramo, non un cumulo di terreno indurito dalla siccità. Era inciampata in qualcosa di caldo e morbido, qualcosa che si muoveva e parlava:
“Ahi!”, disse infatti.
“Scusa!”, esclamò la Ragazza spaventata;
“Chi sei?”, rispose ancora dolente la voce dentro al buio.
“Io sono la Ragazza e tu?”, silenzio. “E tu?”.
“Parli con me?”,
“E con chi se no!”.
“Io sono il Mago”, disse, alzandosi in piedi.
“Un mago!?
“No, il Mago!”.
“Cosa ci fai qui?”, esclamò la Ragazza sempre più incredula.
“Non lo so bene – disse il Mago – sono alla ricerca di una nuova strabiliante magia”.
“Wow”, disse la Ragazza, mentre sentiva crescere nel suo cuore la gioia di aver qualcuno, vivo, con cui dialogare.
“Perchè non mi aiuti!”, gridò con entusiasmo il Mago, spalancando i suoi occhi grandi e scuri che però la giovane non poteva vedere.
“Aiutarti? Io? E come? Non so far niente, ho il senso dell’orientamento fracassato, non so mai dove vado, cosa faccio”.
“Non importa! – disse sorridendo il Mago, spalancando la sua bocca in un sorriso luccicante che gli occhi della Ragazza non potevano ancora vedere – sono sicuro che mi sarai d’aiuto”.

La Ragazza era confusa e anche spaventata, per un attimo pensò potesse essere uno del gruppetto di tenebre tornato ad ingannarla, ma la voce di quel Mago aveva qualcosa di luminoso e vivo che non gli sembrò compatibile con il buio.
Si misero a camminare uno accanto all’altra, senza una direzione, in cerca di una nuova strabiliante magia. Il Mago aveva piedi buoni e tanta voglia di camminare e ogni tanto saltellava alzando polvere e facendo traballare i sassi. Alla Ragazza non importava non sapere dove si trovasse davvero il Mago, se dietro o davanti, a destra o a sinistra, amava la polvere e il traballare dei sassi perchè voleva dire per lei non essere più sola. In altri momenti, invece, il Mago rallentava, e procedeva con andatura felpata e silente. La Ragazza allora con voce tremante sussurrava: “Ci sei?” – “Ci sono”, rispondeva il Mago con voce serena.

Durante quel folle procedere senza meta il Mago raccontò alla ragazza di essere cresciuto in un castello grigio e isolato e di aver deciso un giorno di catapultarsi giù da un balcone e di correre a valle, inseguendo l’allegro mormorare del villaggio. Lì conobbe tante persone semplici e buone e giocando con i bambini si accorse di esser capace di magia. Dalle sue dita venivano giù fiumi di luce brillante, arcobaleni e farfalle, ma nonostante tutto questo non riusciva a cacciare dal suo cuore tutto il grigio del castello. La Ragazza lo ascoltava trattenendo il respiro e sentì dentro di sé che qualcosa si muoveva. Ebbe paura, ma non disse nulla. Percossero le viscere della terra in lungo e in largo, raccontandosi il passato e immaginando un futuro dentro alle tenebre. Nonostante la Ragazza avesse imparato a percepire i passi felpati e silenziosi del Mago, le piaceva ogni tanto esclamare: “Ci sei?”. E il Mago ne era felice perchè lui amava risponderle: “Ci sono”.

Un giorno mentre si raccontavano il futuro la Ragazza sentì i piccoli movimenti avvertiti dentro di sé, ogni giorno, diventare un terremoto, le viscere si agitavano senza sosta, il cuore e le ossa sembravano muoversi a passo di danza. Si fermò, ansimò spaventata e felice. Il Mago si accorse che la ragazza si era appoggiata alla parete di un cunicolo e le si avvicinò. Piano. Piano. Voleva toccarla, sfiorarla appena, ma le chiese: “Posso avvicinarmi?”. La Ragazza sentiva tutta la vita agitarsi dentro di lei, nei piedi, nel naso, tra i capelli e disse: “Si, avvicinati”. Il Mago fu felice e stava per farlo, senza indugio, ma si fermò, lì, dentro al buio, trattenendo il respiro perchè capì cosa stava accadendo, fu un attimo e con voce calma chiese alla Ragazza: “Spiegami dove sei esattamente, perchè possa avvicinarmi”. Senza neanche pensarci la Ragazza gli gridò: “Sono qui! Davanti a te cioè non davanti, ma…di fronte, a sinistra”. Il Mago per essere sicuro che la strabiliante magia si stesse realizzando davvero le chiese: “Sinistra? Ma la sinistra qual è?”, e la Ragazza, senza indugio: “Dalla parte del cuore!”. Appena pronunciate quelle parole, scoppiò in un pianto di gioia, rendendosi conto che era stata di nuovo capace di orientarsi, di individuare coordinate, di offrire indicazioni, di distinguere. La felicità era incontenibile e il Mago fece appena in tempo a raggiungerla per evitare che la Ragazza si accasciasse a terrà per la troppa emozione. Appena i due si toccarono, furono riportati immediatamente in superficie, alla luce del sole. La Ragazza vide gli occhi grandi e scuri e il sorriso scintillante del Mago, e nel cuore del Mago si prosciugò ogni residuo di grigio. Nessuno dei due sapeva cosa sarebbe accaduto adesso, cosa del futuro immaginato sottoterra potesse diventare realtà. Uno di fronte all’altra, mano nella mano si guardarono a lungo e l’unica cosa che la Ragazza riuscì a dire fu: “Ci sei?” . “Ci sono”, rispose lui.

Un timido e veloce batter d’ali

 (Foto di Oli Scarff)

(Foto di Oli Scarff)

C’era una volta, in mezzo al mare, al centro della pancia del mondo, una terra triangolare. Una terra antica e incantata. Questo triangolo di roccia e sabbia, terra fertile e pianure proveniva dal fondo del mare. Dagli abissi vedeva luccicare sulla superficie una luce irresistibile, splendente, come un richiamo di voci magiche, come uno scintillare di vita esagerata. Il triangolo non riuscì a resistere e con grande sforzo e intenso dolore si staccò dal resto della terra nel fondo del mare e con stupore e timore e incontenibile felicità si affacciò in superficie.
Sale, sole, vento, nuvole e pioggia, estate e inverno! Il triangolo si copri di piante e di verde, di fiori colorati, di frutti spinosi e succosi, di animali veloci. Oh, la sua gioia era così grande che la faceva tremar tutta, sentiva il fuoco dell’esistenza scuoterla da cima a fondo.
Un giorno assistette, incredula, al morire quotidiano del sole. Come credere vero e possibile quell’abbraccio di vita e morte?! Come poteva l’inabissarsi della luce, dar vita a tanta bellezza? Il sole calava, giù e ancora giù, sulla linea di confine del mare e tutto era avvolto dal silenzio. Era così commossa la terra triangolare che pianse lacrime di fuoco e le sue lacrime vennero in superficie formando un cratere, potente e di inusuale bellezza.
In tutto il mondo si sparse la fama di questo abisso di mare venuto alla luce e gli uomini fecero a gara tra loro per potervi abitare. La terra sorrideva nel vedere sulla sua pelle quell’avvicendarsi di volti diversi, lingue dai mille suoni, culture multiformi. La gente che cominciò ad abitarla aveva tante facce, frutto felice di fantasiosi innesti. La terra era così bella che tutti gli abitanti non poterono che divenir poeti e narratori, artisti, cavalieri ed eroi.
Ma la bellezza della terra triangolare cominciò a far gola anche al terribile drago che si nascondeva fra le crepe delle sue rocce. Il drago depose ovunque le sue uova e riempì quella terra, devastandola. Fece alleanze di morte con gli altri draghi della superficie terrestre portando morte e distruzione. Seminò fuoco e fiamme che germogliarono voraci nel cuore di molti abitanti. Il respiro dei draghi provocava fumi tossici che avvelenavano i frutti succosi della terra. Molti dei visi felici d’incontri meticci divennero tristi e il triangolo di terra si sentiva risucchiare nelle profondità buie del mare. Molti uomini e donne lottarono coraggiosi contro il drago e i suoi alleati e morirono bruciati e soli al crepitar furioso delle loro fiamme.
Ciò che il drago non sapeva, però, era proprio che la cenere di quegli uomini e di quelle donne ricadeva sulla terra rendendola fertile e leggera. E così, chi tra gli abitanti non abbondonò la speranza di sconfiggere il drago, si accorse del fecondo e spontaneo germogliare di quelle ceneri. In silenzio e con molta fatica mischiarono ad esse il sudore del loro lavoro e la terra si ricoprì di nuovi fiori. I draghi totalmente inebriati della loro potenza non abbassavano neppure lo sguardo su quei piccoli lavoratori, sulle loro zappe e sul loro sudore, così impegnati com’erano a guardarsi gli uni gli altri per sfidarsi e dimostrare la supremazia della loro forza.
Gli uomini e le donne continuarono a lavorare, notte e giorno, i fiori cominciarono a crescere, a moltiplicarsi e a rivestire il triangolo di terra come di un abito da sposa. Al veder tanto candore delle piccole e silenziose creature chiamate Farfalle, cominciarono a migrare verso quella terra di sole e di sale. Con le loro piccole ali colorate affrontorono viaggi lunghi e pericolosi per potersi nutrire di quei fiori di cenere e sudore. Arrivarono a milioni. Volavano basse e silenziose, si moltiplicarono dando alla terra un fremito continuo di metamorfosi. Volavano basse, si, e i draghi alti e possenti non si accorsero della loro presenza, fino a quando divennero così tante le Farfalle da circondare completamente i draghi fino al ventre. Con il loro timido e veloce batter d’ali provocarono un intenso solletico ai piedi e alla pancia dei draghi, così intenso e così continuo che i draghi non riuscirono a resistere. Solleticati in ogni dove da quelle ali d’aria persero l’equilibrio e rovinarono giù, chi fra le crepe infuocate della terra chi nel fondo del mare profondo. Cadderò tutti e non ne sopravvisse neppure uno!
Il triangolo di terra si sentì riemergergere, respirò forte e si abbandonò a insperati sorrisi. Le Farfalle restarono per sempre sulla sua pelle e il profumo dei fiori si diffuse su tutto quel mare d’intenso blu al centro della pancia del mondo.