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Io, lo faccio con te
Caro Abuna Paolo,
a un anno e quattro mesi dal tuo rapimento torno a fare la cosa più inutile che posso: scriverti. Lo faccio perchè è il tuo compleanno, mentre il mondo intero con la preghiera o con un pensiero, con la stima e con l’affetto ti abbraccia, silenzioso e presente.
Alla mia prima lettera, scritta il giorno dopo la tua scomparsa per le strade di Raqqa, avevo affidato parole di sconcerto, parole di rabbia.
La rabbia, quella forza che mantiene in vita in mezzo a qualunque inferno, fino a quando si intravede, seppur lontana, una possibile via di uscita. Quando l’orizzonte si è ormai oscurato, quando le macerie superano in distruzione ciò che resta in piedi, allora alla rabbia deve far posto il coraggio, deve subentrare la pietà.
La Siria è morta.
Ci avevi avvertiti, lo hai fatto in ogni modo, hai urlato, pregato, parlato ovunque, cercando di richiamare l’attenzione di tutti, poi hai deciso di andar da solo per provare a resituire ai Siriani la loro pace e a te stesso quella promessa di Dio che è tutta la tua vita.
Ci vorranno decenni per ricostruire il paese, e anche quando le case saranno di nuovo in piedi, il popolo erediterà a lungo, di parto in parto, le ferite del nostro abbandono e della violenza subita.
Ti penso ogni giorno, e ho paura. Mi spaventa di più saperti vivo e consapevole della tragedia, con il cuore colmo di un dolore senza guarigione, che pensarti morto a questa terra ma vivente, faccia a faccia con il tuo Dio.
Ho desiderato di vederti tornare, di poterti avvistare all’orizzonte, ombra gigante da abbracciare, pensavo: quando tornerà sarà bellissimo! Ora, io voglio imparare a desiderare ciò che tu desideri. E tu, Paolo, cosa desideri?
Tagliano le teste. Rapiscono le donne. Cancellano l’infanzia. Sono bestie feroci. E a tanta violenza noi rispondiamo con le bombe dal cielo, privi di ogni pudore trasformiamo il luogo della speranza in pioggia di fuoco.
Possediamo parole che sono barattoli di latta, rumore e ruggine .
Per sembrare affidabili e ancora potenti abbiamo taciuto, armato gli eserciti e fatto scorta di munizioni.
Ricordi? Dicevi che il conflitto fa parte della realtà, che sottrarsi ad esso, fuggire, non affrontarlo, non assumerlo nella nostra esitenza rende ideologi, xenofobi e violenti.
Il desiderio di libertà del tuo popolo è stato troppo per noi. Cosa potevamo fare, così occupati come siamo a contare, spicciolo dopo spicciolo, i nostri euro e i nostri dollari agonizzanti! Rischiare forse? Perdere quello che avevamo per condividere il pane della democrazia e della pace? Potevamo mettere da parte la nostra ben delineata appartenenza religiosa, per mischiare i nostri abiti buoni della domenica ai vostri piedi nudi? Potevamo forse impegnarci a capire cos’è l’Islam, che pulsa e lotta per sopravvivere alle spalle di un estremismo dal volto coperto?
Paolo, a scuola parlo di te. Parlo di te e della Siria davanti a giovani vite dagli occhi vergini, capaci di visione, come dici tu. E dico loro che, al di là della devastione, esistono ancora le persone, esistono i siriani, e che da essi si deve poter ricominciare. Lo faccio per non perdermi, per rimanere ancorata alla speranza di un mondo diverso. Lo faccio per non perderti, perchè il bene di chi ci ama ci strappa ogni giorno alla fame della morte.
Buon compleanno Abuna Paolo. Ovunque tu sia e qualunque sofferenza tu stia patendo, resta con gli occhi negli occhi del tuo Signore. E se è la vita che vuoi, invocala! Sii forte. Fagli sentire in faccia il fiato e la saliva delle tue grida, giorno e notte. Io, lo faccio con te. E se è la morte che vuoi, se sei stanco, Paolo, chiedila, fuori dalle barricate della dottrina, dove hai sempre vissuto, con la confidenza dei vecchi amici, con la dolcezza degli amanti, come solo può fare chi ha intrecciato la sua sorte all’esistenza di Dio. Io, lo faccio con te.
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