Studiando il testo greco del processo a Gesù (Vangelo secondo Giovanni capp. 18-19), con mia somma sorpresa ho scoperto un uso anomalo di una parola a noi familiare: categoria.
In Gv 18, 29, infatti, i Giudei conducono Gesù davanti a Pilato, il quale andando verso di loro chiede: “Quale accusa portate contro quest’uomo?”. Ebbene, con “accusa” si traduce il greco categoria (κατηγορία). Dopo qualche minuto di smarrimento, mi sono precipitata, incuriosita e pensierosa, tra le pagine di un amico fedele, odiato e amato fin dall’adolescenza, come nient’altro al mondo, il “Rocci”. Beh, il vocabolario della lingua greca non ha smentito il vangelo. Il primo significato del termine κατηγορία è proprio questo: “accusa, imputazione”. Il sostantivo viene dal verbo kathgore,w, un verbo composto da kata (contro)+ avgoreu,w (parlo in pubblico, annunzio, proclamo) cioè parlare contro, lanciare accuse, incolpare. Secondo significato del verbo kathgore,wè “mostrare, indicare, fare conoscere, affermare”. Sembra che il significato di “accusa” risalga all’uso forense della grecità classica (contrapposto ad apologia “difesa”) e che il secondo significato del sostantivo, “predicato, attributo”, sia da riferire alla filosofia cominciando da Aristotele.
Bisognerebbe comprendere quale sia il cammino semantico che unisce questi due significati del termine, apparentemente così diversi tra loro. Ma sono poi così diversi? In questa sede ciò che si vuole condividere è solo una suggestione: nella filosofia antica, κατηγορία, è determinazione della realtà e forma attraverso la quale tale realtà viene pensata. Forse il collegamento è proprio questo. L’accusa nel processo di Gesù (così come nelle altre due citazioni del NT Prima Lettera a Timoteo 5, 19 e Tito 1,6) non è il tentativo di determinare la realtà che lo riguarda? Il confronto-scontro prima con i Giudei e poi con Pilato non nasce dal tentativo, fallito, di far rientrare il Rabbì di Nazaret all’interno di una realtà da loro conosciuta e quindi dominata? “Quale categoria portate contro quest’uomo?”. Questo termine oggi assume spesso un’accezione negativa: categoria è ambito ristretto del pensiero, è sottoporre a giudizio definito, chiuso, persone, cose, idee. Categorizzare, in fondo, non è spesso accusare di essere in un solo “modo” e di non poter essere altrimenti? È separare. Valutare qualcuno a seconda della categoria a cui appartiene, non è impedire all’altro di mostrare se stesso, accusarlo di non sapere o potere arrivare a noi in modo sorprendente?