Nella vita “si deve andare avanti”. Lo si dice quando si è nel dolore, soprattutto. Quando si è disposti a qualunque cosa pur di “andar via”, dalla sofferenza, dal dramma, dal fallimento, dalla malattia. Poco importa se non si sa dove andare, se non si percepisce alcuna direzione: “avanti” è certamente un luogo migliore. Quando si è felici, invece, non ci si vorrebbe spostare, mai. Anzi, tutto quello che sembra poter mutare l’assetto delle cose è percepito come una minaccia: chi è felice vuole restare dov’è. Forse qualche temerario della felicità azzarda un passo nel territorio scosceso della “progettazione”, immaginando il modo di perpetuare nel tempo e nello spazio il proprio giubilo, inutilmente.
Poi, invece, c’è chi non è né felice né triste, perché ha disimparato la strada delle ambivalenze, degli opposti che si attraggono o delle forze che si respingono. Chi, magari, ha scoperto che ad andare sempre avanti per fuggire dal dolore ci si perde e a voler ingabbiare la felicità lo sguardo si restringe, sempre di piú, sempre di piú, fino alla cecità e all’egoismo piú bieco.
Accadono cose nella vita che costringono a tornare indietro, a fare la strada a ritroso fino a ricongiungersi con la parte di sé che si era persa, chissà quando, chissà dove o come. Magari proprio per l’ansia di futuro o per la brama di dettar legge alla vita. Oppure con la parte si stessi che non si è mai compresa o guardata a fondo o amata, accolta, accettata.
Accadono cose, s’incontrano persone. E all’improvviso comprendiamo che andare verso noi stessi è la sola strada possibile. È un percorso accidentato, pieno di macerie, di zone d’ombra, di vuoti d’aria. Si passa per strade che si preferirebbe dimenticare, che si vorrebbe non aver mai imboccato. E pur ripercorrendo a ritroso la vita, le cose imparate fino a quel momento non servono a nulla. Non ci sono criteri conosciuti che si possano applicare, nessuna esperienza è abilitata per la riuscita del cammino, non c’è giudizio che sappia aprire varchi nel buio, non ci sono imperativi esterni a noi stessi che sappiano appianare le salite, segnalare i burroni, evitare i tornanti. La fiducia in se stessi è tutto il coraggio di cui si può disporre, prendersi sul serio l’unico atto di eroismo possibile. Tutto ciò che sapevamo si ribalta, si ribella e scappa mentre del nuovo non riusciamo a scorgere che frammenti, luccichii ed echi lontani.
La speranza è che una volta intrapresa la strada ci si possa ri-conoscere, alla fine, che esista realmente la possibilità di ri-congiungersi con se stessi, di ri-trovarsi, di ri-scoprirsi e che la vita, la nostra, le persone, le relazioni abbiano ancora desiderio d’accadere, con noi.