Sale

Immagine

Sale

FRATTURE

264-W4-smart-solutions-©-sara-montali

(foto di Sara Montali)

PRIMO MAGGIO

REPUBBLICA Da “res” e “pubblica” = cosa pubblica. Forma di governo nel quale la sovranità risiede nel popolo, che la esercita direttamente o indirettamente per mezzo di rappresentanti scelti liberamente.

FONDATA da “fundus” = fondo. Scavare fino al sodo, per riempire la fossa di muratura e quindi porre i fondamenti, le basi. Appoggiarsi, porre ferma speranza.

SUL LAVORO dal latino “labor” = fatica, da cui “laborare” cioè operar faticando, dalla radice LABH che esprime l’idea di “afferrare” e quello figurato di “volgere il desiderio, la volontà, l’intento, l’opera a qualcosa”.

“Roma è avida di passi” (Resoconto dei miei primi due anni a Roma)

Una valigia per due mesi. Sembrava dover essere un soggiorno breve e intenso. Corsi per il Dottorato, piccola esperienza in Rai. Dopo, ancora Sud. Per terminare la mia tesi, velocemente e bene. Come avevo sempre fatto. Oggi 30 aprile festeggio il mio secondo anno di vita a Roma. Quei due mesi si sono dilatati, la valigia è diventata stanza in affitto in una, due, tre case differenti. La tesi è ricoperta da centimetri di polvere. In Rai mi hanno aperto un numero di matricola (evento definito giustamente “miracoloso”), ma, di fatto, senza che sia colpa di nessuno, la mia matricola si è atrofizzata dentro a qualche archivio di viale Mazzini. Le hanno sicuramente detto di mettersi in un angolo, al sicuro dalla crisi economica, in attesa di essere richiamata in servizio. Povera! Soffrirà di malinconia, non certo di solitudine. Però un lavoro ce l’ho e pure uno stipendio. Giuro. Precario, ovviamente. Il fatto è che proprio non riesco a farmelo piacere. Il lavoro dico, non lo stipendio, ovviamente.

Due anni. Due anni come due minuti dentro ad un frullatore. Tutto spezzato e trasformato. Tutto diverso. Tra la prima valigia e lo stipendio di oggi ci stanno ventidue mesi e molte cose. Tra la prima valigia e il mio presente c’è una città, una città affollata di gente, di eventi, di robe da piazza, di viicoli stretti, di palazzi, di chiese e monumenti, di manifestazioni, di politica e potere, di spaghetti cacio e pepe, di librerie, di tramonti mozzafiato, di cupolone, di fiorai, di derby, di turisti in canottiera e di bus affolati. Roma. Le persone, le cose, le parole, gli incontri. Ad uno sguardo di insieme, distante, distratto sembra confusione, traffico, caos. Ma a guardare con più attenzione Roma è gente venuta a portare qualcosa nella mia vita: una parola, una possibilità. Gente venuta ad aprire porte chiuse da tempo, o che si accosta, con andatura determinata e costante per dirmi qualcosa di me che ancora non so.

Roma ti deruba di forza. Roma è avida di passi. Accade allora di sentire la stanchezza e di non avere voglia di ributtarsi nella mischia. Pensi: Ma dove vado? Ma cosa sto facendo? Ti pare che il tuo volto si confonda con quello degli altri e che nessuno lo riconosca come unico. E, mentre stai seduto sul gradino del marciapiede ed osservi le ginocchia del mondo che ti passa accanto, alzi lo sguardo, pensi di intravedere “qualcuno” tra la folla e ti assale una malinconia che rende quel luogo insopportabile e la fatica per restarci dentro, inutile. Il luogo da dove vieni si trasforma. I ricordi delle cose “normali” diventano sacri e anche il pensiero di un pranzo in famiglia assume i contorni di un racconto mitologico fatto di eroi, di divinità, di vittorie.

La distanza da casa e l’incertezza del futuro, la vita che cambia e non capisci, i desideri che si trasformano e non riconosci, i compromessi che ti rincorrono, la nostalgia di ciò che desideri diventare, le novità che ti sorprendono, le persone che ti travolgono, tutto ti scava dentro uno spazio. Uno spazio inatteso, non previsto, di cui ti accorgi solo dopo, quando già esiste. E ci guardi dentro e ne vedi la profondità e ti chiedi cosa mai potrai metterci lì dentro, come riuscire a riempirlo. Già. Cosa? Capita di pensare, allora, dopo questi due anni per le strade di Roma, che quello per cui sei arrivata fin qui è diventato altro e che bisogna cambiare programma. Capita di pensare che si, magari la tesi di dottorato la finirai pure ma tocca reinventarsi la vita. E anche se ti rabbrividisce il freddo e l’umidità che arriva da quel vuoto che la città con la sua vita ti ha scavato dentro, speri di poter trovare, da qualche parte, pensieri nuovi, speranze durature, sogni diversi o, forse, sogni rinnovati, cambiati di abito, tirati a lucido. Che la vita è bizzarra, dicono. E i sogni vanno tenuti allennati, ben oleati, con la revisione fatta, con il tagliando in regola. Pronti a ripartire, in qualsiasi momento. Perchè Roma non è solo “guerra”, la tua crociata per conquistare e difenderti la vita. Roma è già vittoria. È la pagina che si gira, è l’attesa di sapere come finirà la storia. “…A me pure piace girare per le strade di Roma… soprattutto in estate.. di sera… verso le sette e mezza, otto… e sentire il rumore delle posate che vengono disposte sulla tavola… e pensare alle famiglie che si stanno preparando a cenare… e sentirmi leggero….

Tramonto romano 1° Maggio 2011

Tramonto romano 1° Maggio 2011

“…la città cui tende il mio vaggio…”

Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell’approdo.

Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie.

Se ti dico che la città cui tende il mio vaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora pi densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla.

Fuori Orario

“Se abitassi in cima a una montagna
e passassi il tempo tutto solo
sarei molto più felice di vederti
quando vieni e bussi alla mia porta
invece stiamo in mezzo a tanta gente
gli uni sopra gli altri nei palazzi
ci incrociamo sempre con indifferenza
o un poco di aggressività
chissà che cosa ci potrebbe capitare
se provassimo ad andare fuori oraio
oltre il nostro monotono binario
portiamo i desideri più innocenti
a bere l’acqua pura di una fonte
l’universo emette voci impercettibili
sul ritmo più segreto della vita

mi accorgo che gli incontri e gli abbandoni
scandiscono lo scorrere del tempo
i cerchi dentro il tronco di una quercia
trasmettono il ricordo ai nuovi rami
mi sveglio e vado
cammino a passi lenti tra la gente
e ricomincio a vivere in orario
lungo un altro possibile binario”.

L.O.V.E.

Immagine

L.O.V.E.

Libertà, Odio, Vendetta, Eternità.

Credo

Immagine

Credo

Tremando d’intelletto e passione

Brochure Convegno Roma 2013

Quale categoria, contro quest’uomo?

Studiando il testo greco del processo a Gesù (Vangelo secondo Giovanni capp. 18-19), con mia somma sorpresa ho scoperto un uso anomalo di una parola a noi familiare: categoria.

In Gv 18, 29, infatti, i Giudei conducono Gesù davanti a Pilato, il quale andando verso di loro chiede: “Quale accusa portate contro quest’uomo?”. Ebbene, con “accusa” si traduce il greco categoria (κατηγορία). Dopo qualche minuto di smarrimento, mi sono precipitata, incuriosita e pensierosa, tra le pagine di un amico fedele, odiato e amato fin dall’adolescenza, come nient’altro al mondo, il “Rocci”. Beh, il vocabolario della lingua greca non ha smentito il vangelo. Il primo significato del termine κατηγορία è proprio questo: “accusa, imputazione”. Il sostantivo viene dal verbo kathgore,w, un verbo composto da kata (contro)+ avgoreu,w (parlo in pubblico, annunzio, proclamocioè parlare contro, lanciare accuse, incolpare. Secondo significato del verbo kathgore,wèmostrare, indicare, fare conoscere, affermare”. Sembra che il significato di “accusa” risalga all’uso forense della grecità classica (contrapposto ad apologia “difesa”) e che il secondo significato del sostantivo, “predicato, attributo”, sia da riferire alla filosofia cominciando da Aristotele.

Bisognerebbe comprendere quale sia il cammino semantico che unisce questi due significati del termine, apparentemente così diversi tra loro. Ma sono poi così diversi? In questa sede ciò che si vuole condividere è solo una suggestione: nella filosofia antica, κατηγορία, è determinazione della realtà e forma attraverso la quale tale realtà viene pensata. Forse il collegamento è proprio questo. L’accusa nel processo di Gesù (così come nelle altre due citazioni del NT Prima Lettera a Timoteo 5, 19 e Tito 1,6) non è il tentativo di determinare la realtà che lo riguarda? Il confronto-scontro prima con i Giudei e poi con Pilato non nasce dal tentativo, fallito, di far rientrare il Rabbì di Nazaret all’interno di una realtà da loro conosciuta e quindi dominata? “Quale categoria portate contro quest’uomo?”. Questo termine oggi assume spesso un’accezione negativa: categoria è ambito ristretto del pensiero, è sottoporre a giudizio definito, chiuso, persone, cose, idee. Categorizzare, in fondo, non è spesso accusare di essere in un solo “modo” e di non poter essere altrimenti? È separare. Valutare qualcuno a seconda della categoria a cui appartiene, non è impedire all’altro di mostrare se stesso, accusarlo di non sapere o potere arrivare a noi in modo sorprendente?