Non ci sono più anni

(Foto di Fogato)

(Foto di Fogato)

Erano gli anni
che però quegli anni non finiscono
e a un certo punto
non ce la fai più a sentire
nostalgia degli anni che erano.

Se è un tempo che serve
per dire le cose
e io è quelle che voglio dire, le cose
vuol dire che farò venire il tempo
o mi troveranno loro, le parole
da dire per questo che vivo.

E dicendo mi staccherò
finalmente da una terra
che non si pensa più.

Dall’alto la vedrò bella quant’è bella
con le persone piegate
che mi sentiranno nel cielo
essere come loro
e cazzo amen per mille volte
spariranno le ombre dalle facce
limpide e grate d’ogni uomo.

Se ci sono state parole giuste
per quegli anni, ripeto
ce ne saranno di altre per questi
e chi le trova? Io voglio essere
il trovatore anche se poi
mi chiedo se sia vero la parola
a mancare e non il tempo.

Perché sì, l’inedito di oggi
sembra e mi lego a questo sembra
l’inaudita mancanza di anni:
non ci sono più anni
a cui dare parole nel tempo,
solo giorni staccati da terra
che ci lasciano ancora.

Marco Bisanti

Unni curnutu u miseru u traguardu?

Piccatu ca un c’era nuddu quannu arrivammu…però io continuava a curriri e ad arrivari urtimu. Io continuu a curriri e cu m’avi a fermari a mia! E c’haiu a rinesciri a vinciri na vota, na vota sulu. Ma un finisci mai sta cursa, unni curnutu u miseru u traguardu?

Piccolo omaggio a Franco Scaldati.

Non c’è linguaggio senza inganno

Il filosofo sedeva sul prato. Disse: – I segni formano una lingua, ma non quella che credi di conoscere -. Capii che dovevo liberarmi dalle immagini che fin qui m’avevano annunciato le cose che cercavo: solo allora sarei riuscito a intendere il linguaggio di Ipazia.

Ora basta che senta nitrire i cavalli e schioccare le fruste e già mi prende una trepidazione amorosa: a Ipazia devi entrare nelle scuderie e nei maneggi per vedere le belle donne che montano in sella con le coscie nude e i gambali sui polpacci, e appena s’avvicina un giovane straniero lo rovesciano su mucchi di fieno o di segatura e lo premono con i saldi capezzoli.

E quando il mio animo non chiede altro alimento e stimolo che la musica, so che va cercata nei cimiteri: i suonatori si nascondono nelle tombe; da una fossa all’altra si rispondono trilli di flauti, accordi d’arpe.

Certo anche a Ipazia verrà il giorno in cui il solo mio desiderio sarà partire. So che non dovrò scendere al porto ma salire sul pinnacolo più alto della rocca ed aspettare che una nave passi lassù. Ma passerà mai? Non c’è linguaggio senza inganno

(James e Michael Fitzgerald)

(James e Michael Fitzgerald)

Mediterraneo

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Mediterraneo

Gli sguardi si incrociano per un secondo. Poi si sfuggono.

A Cloe, grande città, le persone che passano per le vie non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose uno dell’altro, gli incontri che protebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi si incrociano per un secondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si fermano.

Passa una ragazza che fa girare un parasole appoggiato alla spalla, e anche un poco il tondo delle anche. Passa una donna nerovestita che dimostra tutti i suoi anni, con gli occhi inquieti sotto il velo e le labbra tremanti. Passa un gigante tatuato; un uomo giovane coi capelli bianchi; una nana; due gemelle vestite di corallo. Qualcosa corre tra loro, uno scambiarsi di sguardi come linee che collegano una figura all’altra e disegnano frecce, stelle, triangoli, finchè tutte le combinazioni, in un attimo sono esaurite, e altri personaggi entrano in scena: un cieco con un ghepardo alla catena, una cortigiana col vantaglio di piume di struzzo, un efebo, una donna-cannone. Così tra chi per caso si trova insieme a ripararsi dalla pioggia sotto il portico, o si accalca sotto il tendone del bazar, o sosta ad ascoltare la bianda in piazza, si consumano incontri, seduzioni, amplessi, orge, senza che ci si scambi una parola, senza che ci si sfiori con un dito, quasi senza alzare gli occhi.Una vibrazione lussuriosa muove continuamente Cloe, la più casta delle città. Se uomini e donne cominciassero a vivere i loro effimeri sogni, ogni fantasma diventerebbe una persona con cui cominciare una storia di inseguimenti, di finzioni, di malintesi, d’urti, di oppressioni, e la giostra di fantasia si fermerebbe.

tumblr_m3al9t7exZ1r8w630o1_500 (da 8 e 1/2 di F. Fellini)

Avere un cuore che batte, non basta

(foto di S.Kodicara)

Forse, a volte, bisognerebbe costruire un po’ della propria vita su modelli considerati “imperfetti”.

Aveva ragione. La biologia ha una sua forza e fa crescere anche i figli affetti da autismo.

C’è chi dice che vivere con un figlio autistico significa sottostare ad una specie di tirrania. Mi viene da ridere al pensiero di cosa accadrebbe al mondo se cadesse sotto il controllo di Andrea.

Per prima cosa le settimane avrebbero un colore. Nella settimana del rosso via libera al commercio di carote, arance, pomodori. Sovvenzioni solo a questi produttori e blocco totale della circolazione di camion con broccoli, verze e piselli. Ma quando arriva la settimana verde i negozi si riempiono delle verdure prima vietate, le casse d’arance vengono immediatamente rispedite in Sicilia e le carote infilate, una ad una, nel terreno. Naturalmente nel punto esatto da cui erano state tolte, che non si possono mica mettere carote provenienti dalla Francia su terra ferrarese.

Non ci sarebbe mai una settimana viola, peccato per i fans di prugne e melenzane. Non potrebbe esistere il mezzo pieno o il mezzo vuoto, dilemma capace di tormentare i migliori intelletti: bottiglie e altri contenitori dovrebbero essere o vuoti o pieni e le penne o tutte con la punta dentro o tutte con la punta fuori, mai metà e metà, che poi una si rovina e una no. È un rischio che sarà evitato.

Sarebbe oppurtuno non indossare maglie o maglioni con la cerniera e, sbadatamente, tenerla leggermente aperta. Per favore, cerniere o aperte o chiuse. Inutile cavillare sempre se faccia caldo o freddo. Un po’ di decisione non guasta.

Nessuno si creda di poter mangiare una pizza tagliandola a fette, diciamo partendo da un punto qualsiasi e staccandone uno spicchio a piacimento: prima si mangia il bianco della mozzarella, poi il verde del basilico e alla fine, ma solo alla fine, la pasta con la salsa di pomodoro.

Ci sarebbe trecentosessantacinque volte all’anno la giornata del cioccolato. Imposizione questa, forse, non del tutto sgradevole.

Chiunque sia in possesso di un termostato, o si considri tale, o non si aspetti benevolenza. O spenti o aperti al massimo: le mezze stagioni sono una rovina.

I campanili verranno dotati di un distributore automatico di bolle di sapone, ogni venerdì bolle di sapone a distesa per annunciare il fine settimana e ogni lunedì per festeggiarne l’inizio, fuochi d’artificio a capodanno, nei solstizi ed equinozi e ogni qual volta le casse lo permettano.

Una tirannide con le idee chiare.

Un tiranno fragile, bisognoso di libertà. Per questo lo mandiamo a scuola da solo. Sono i suoi venti minuti d’aria, dieci all’andata e dieci al ritorno. Non avete paura ci chiedono? Si, ovviamente. Tutti i giorni. Però Andrea ha un tale sorriso, quando mette lo zaino in spalla e quando poi torna a casa, da compensare tutte le preoccupazioni. Perchè essere liberi non è solo respirare e avere un cuore che batte, non basta.

Certo, la libertà non è mai gratis: abbiamo dovuto firmare assunzioni di responsabilità, un ragazzo autistico che va a scuola da solo è un bel problema, si capisce: per gli insegnanti, per i vigili, per la cittadinanza, per tutti gli automobilisti europei e i turisti lituani che passano di qua. […]

La vita è diluita nel mezzo e troppo densa ai lati. La vita è imperfetta, ma ha la sua forza.

Tratto da “Se ti abbraccio non aver paura ” di Fulvio Ervas ed. Marcos y Marcos

Può capitare, di salvare il mondo.

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che premedita un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
I Giusti di Jeorgr Luis Borges

Giovanni Falcone, d’aria di sorriso e di vento

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Notte, serene ombre,

culla d’aria,

mi giunge il vento se in te mi spazio,

con esso l’odore della terra

dove canta alla riva la mia gente

a vele, a nasse,

a bambini anzi l’alba desti.

Monti secchi, pianure d’erba prima

che aspetta mandrie e greggi,

m’è dentro il male vostro che mi scava

(Terra, Salvatore Quasimodo)

Ponte

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Ruoli e relazioni. La mia “risposta” a papa Francesco

 

via @ilpost

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Lo scorso 8 maggio, in occasione dellAssemblea plenaria dell’unione internazionale delle superiore generali, papa Francesco ha tenuto un breve discorso, subito amplificato dai mezzi di comunicazione per la frase rivolta alle religiose: siate madri non zitellehttp://attualita.vatican.va/sala-stampa/bollettino/2013/05/08/news/30952.html

A dire la verità, nonostante il plauso dei mass media e delle stesse religiose presenti, credo ci sia poco da stare allegri. Da donna, battezzata e studiosa di Sacra Scrittura, infatti, l’affermazione di papa Francesco e tutto il suo breve discorso mi hanno suscitato diverse riflessione e non poche perplessità. Ecco le sue parole

E poi la castità come carisma prezioso, che allarga la libertà del dono a Dio e agli altri, con la tenerezza, la misericordia, la vicinanza di Cristo. La castità per il Regno dei Cieli mostra come l’affettività ha il suo posto nella libertà matura e diventa un segno del mondo futuro, per far risplendere sempre il primato di Dio. Ma, per favore, una castità feconda, una castità che genera figli spirituali nella Chiesa. La consacrata è madre, deve essere madre e non zitella! Scusatemi se parlo così, ma è importante questa maternità della vita consacrata, questa fecondità! Questa gioia della fecondità spirituale animi la vostra esistenza; siate madri, come figura di Maria Madre e della Chiesa Madre. Non si può capire Maria senza la sua maternità, non si può capire la Chiesa senza la sua maternità e voi siete icona di Maria e della Chiesa”.

Viene naturale chiedersi il perchè di tale risonanza mediatica. Forse perchè è inusuale che un pontefice si esprima con un linguaggio tanto comune e comprensibile? Comune e comprensibile, appunto. Tutti hanno recepito il messaggio, perchè? Perchè il papa usa due dei clichè più comuni per identificare una donna. Per giorni i giornali hanno riportato la notizia. Non è forse un segno allarmante del riconoscimento unanime e immediato, non riflesso cioè, della donna e dei ruoli sociali che le sono stati attribuiti, o meglio, imposti e dai quali ancora stenta a liberarsi? È palese che se il discorso fosse stato rivolto a dei religiosi uomini il linguaggio sarebbe stato differente, fosse solo perchè la lingua italiana corrente non possiede il maschile di “zitella” (Alcuni vocabolari riportano “zitello” e ne specificano l’uso desueto. Altri, invece, non lo riportano affatto e indicano l’uso di “scapolo”, ma privo del senso dispregiativo).

Certo, il Pontefice è assolutamente in linea con secoli di Tradizione, come negarlo? Ma scorrendo le pagine della Bibbia (prima Fonte alla quale la vita della Chiesa deve attingere, dopo aver imparato ad averne sete) mi pare di non trovare ovvio questo legame tra maternità e femminilità, tra “castità feconda” e primato di Dio e costruzione del Regno. A cominciare dalla maternità “naturale”. Le madri nominate nei vangeli non hanno proprio un rapporto roseo con Gesù: la madre di Giacomo e Giovanni viene rimproverata per la pretesa che i figli siedano alla destra e alla sinistra di Gesù (Cfr. Mt 20,20-23). E Gesù sulla via che lo porta al Golgota non ha parole tenere per le madri che piangono su di lui: “Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso le donne disse: figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allatato (Lc 23,27-29). A proposito di mammelle e di latte materno, Gesù non risparmia neppure sua madre: “In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato! Ma egli disse: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!.

 

La maternità, dunque, non è via privilegiata di vita con Dio, neppure per la vergine Maria. Ciò “senza cui non è possibile capire Maria di Nazareth” non è in primis la sua maternità ma l’ascolto della Parola di Dio: “Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercavano di parlargli. Qualcuno gli disse: Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti. Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre“. Ciò che dona a Maria la possibilità di generare il Figlio di Dio è il suo assenso alla Parola: “mi accada secondo la tua parola (Cfr. Lc 1,38) risponde all’arcangelo Gabriele che le porta l’annuncio. Nè la “maternità di sangue” né quella cosiddetta “spirituale” possono essere considerate vie privilegiate di sequela. La maternità è seconda alla relazione con la Parola.

 

Relazione. Parola chiave per comprendere molte cose nella Bibbia, fra queste anche la presenza delle donne nella vita del Rabbì di Nazareth. Ma chi sono le donne che seguono Gesù? Fiumi di inchiostro e studi magistrali esistono sull’argomento. La mia riflessione si ferma semplicemente ai dati forniti dalla Scrittura. Maria di Magdala, Marta e Maria, Giovanna, Susanna, Maria di Clèofa. Di alcune conosciamo il nome, di poche il nome e la storia, altre compaiono per il breve tempo dell’incontro con Gesù. Le donne raccontate nei vangeli non sono certo esempi di “castità”: la donna che bagna di lacrime i piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli è una prostituta (Cfr. Lc 7,36-50), da Maria di Magdala il Messia Figlio di Davide scaccia via ben “sette demòni” (Cfr. Lc 8,2), e poi c’è un’ adultera colta in flagranza di reato (Cfr. Gv 8,1ss), una donna resa impura, secondo la cultura del tempo, dalle sue continue emorragie, che crede di poter guarire toccando anche solo un lembo del mantello di Gesù (cfr.9,20-22); c’è la samaritana con la sua vita disastrata, che ella stessa riesce a comprendere soltanto alla luce del dialogo con lui (cfr. Gv 4,1ss).

 

Donne, con le loro storie. Sono storie aperte, che mutano, che cambiano nel corso del loro incontro/legame con Gesù. Il vangelo ci narra di percorsi, di situazioni che si trasformano grazie alla relazione con lui, ad un riconoscimento che è reciproco e che coinvolge il corpo, il cuore, la vita. Le donne lo cercano, lo toccano, lo guardano, gli parlano, lo sfiorano, gli tengono spesso testa, non si lasciano sedurre così facilmente da lui, lo interrogano, lo afferrano, lo sfidano, provocano in lui un cambiamento come accade durante le nozze a Cana di Galilea. Maria esprime a Gesù la sua preoccupazione: “Non hanno più vino”, Gesù risponde: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora”, la madre non si lascia scoraggiare e ordina ai servi: “Fate quello che vi dirà”. L’acqua viene cambiata in vino ed è anticipato per Gesù l’inizio dei “segni” (Cfr. Gv 2,1-12). Anche la donna siro-fenicia che con fermezza chiede la guarigione della figlia permette a Gesù di compiere un passo avanti nella consapevolezza della sua missione: “Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio. Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostarono implorando: Esaudiscila, vedi come ci grida dietro. Ma egli rispose: Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele. Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: Signore, aiutami! Ed egli rispose: Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini. È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni. Allora Gesù le replicò: Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri. E da quell’istante sua figlia fu guarita” (Mt 15,22-28).

 

 

Il papa nel suo discorso alle religiose afferma: “È Cristo che vi ha chiamate a seguirlo nella vita consacrata e questo significa compiere continuamente un ‘esodo’ da voi stesse per centrare la vostra esistenza su Cristo e sul suo Vangelo, sulla volontà di Dio, spogliandovi dei vostri progetti ”. Quello che Gesù fa con le persone che incontra è praticamente il contrario, almeno in un primo momento. Ogni incontro si gioca sulla scoperta della reciproca identità: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia? ” (cfr. Gv 4,29); “Ed ecco una donna, che soffriva d’emorragia da dodici anni, gli si accostò alle spalle e toccò il lembo del suo mantello. Pensava infatti: Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita. Gesù, voltatosi, la vide e disse: Coraggio, figliola, la tua fede ti ha guarita». E in quell’istante la donna guarì” (Cfr. Mt 9,20-22); “Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: Donna, perché piangi? Chi cerchi?. Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo. Gesù le disse: Maria!. Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: Rabbunì!, che significa: Maestro!” (cfr. Gv 20,14-16). Gesù svela a noi stessi la nostra identità, ed è grazie a tale rivelazione, dentro al processo di questo svelamento, lento, sofferto, personalissimo che noi lo riconosciamo come Signore della nostra vita. Riconoscimento reciproco, nella relazione.

 

Il decentramento da sé, la rinuncia al progetto personale, “lobbedienza allo Spirito autenticata dalla Chiesa attraverso mediazione umana”, come afferma il papa nel medesimo discorso, forse sono dottrine che devono essere ripensate. Per costruire certo, non per distruggere.

 

Per spogliarsi di sé non è necessario capire prima chi si è? E forse la vita dei credenti non è stata in qualche modo privata, nei secoli, di questo passaggio fondamentale dando origine a storpiature e perversioni del vangelo? Non si è fatto abuso dell’insegnamento sul “rinnegamento di sé”?, della “mediazione umana soggetta all’obbedienza” (il termine “obbedienza” è presente soltanto due volte nei vangeli. Gesù la chiede agli elementi naturali e ai demòni. Agli uomini richiede “ascolto” della Parola) a scapito di una coscienza di sé consapevole che, invece, è sempre più smarrita? E che per reazione si irrigidisce su posizioni estreme?

Donne = Madri; Non madri = zitelle. Certo, è un pregiudizio che, ahimè, non appartiene soltanto alla cultura cattolica. Forse sarebbe stato più bello, più forte e vero se il papa avesse detto: “Siate donne, non zitelle”. Sarebbe stato più bello se invece di parlare alle religiose come esponenti di una categoria avesse parlato loro come rappresentanti di una realtà, quella femminile, così ricca e bisognosa di essere riconosciuta nella sua identità, una identità non fatta di ruoli, ma di vita vissuta, di storie, di relazioni, di incontri. Non esiste un modo di essere suore, un modo di essere madri, un modo di essere mogli, un modo di essere donne. Esistono le persone con le loro storie, e se dei tratti comuni ci sono, questi vanno conosciuti per comprendersi, per comprendere, non per leggere la realtà a senso unico. Nel vangelo secondo Matteo, al capitolo 25, si parla delle dieci vergini. Fra queste cinque si comportano da sagge e cinque da stolte. Al di là del linguaggio metaforico, uno stesso status mostra la possibilità di comportamenti diversi,ciò che fa la differenza è la relazione delle singole con lo “Sposo”.

La mia riflessione non vuole essere una critica al Papa né un attentato alla vita religiosa così come la Chiesa da secoli la vive e la custodisce. La mia è semplicemente una riflessione, basata su quanto mi pare di capire dallo studio delle Scritture, e sul desiderio di partecipare in modo consapevole e responsabile alla vita della comunità dei credenti in Gesù. La riflessione teologica sulla vita religiosa è viva, va avanti, si nutre di pensieri nuovi e diversi che piano piano la rinnovano. Ma quello che mi sembrava essere in gioco nell’affermazione del papa supera i confini della vita consacrata. La necessità di ripensare la dimensione femminile nella cultura, nella società, nella vita ecclesiale è tragicamente urgente. E se non lo faremo noi, lo farà la storia, anche senza di noi. Grazie a Dio. Si, lo Spirito soffia dove vuole (Cfr. Gv 3,8).