I Faggi che sono in Sicilia sono figli dell’ultima glaciazione. Quando i ghiacci si sono ritirati, loro sono rimasti in questa Trinacria circondata dal mare. Son rimasti abbarbicati e maestosi a ricoprire le rocce più alte dove il freddo dell’isola si concentra e si difende dall’aria di mare. Se vengono tagliati non ricrescono più. Se muoiono nessun altro Faggio prenderà il loro posto.
Io non lo sapevo, l’ho imparato ieri, fra le curve delle montagne madonite, durante una gita quasi improvvisata alla ricerca dell’autunno. L’uomo che mi vuol bene mi ha portata via dalla città, perché, a volte, le grandi città sono il luogo più stretto e soffocante dove vivere. Siamo andati in cerca di spazi senza artifizio, dove ogni cosa occupa il suo naturale ambiente di sopravvivenza e dove il tempo che passa è un ciclo che fa nascere e morire continuamente, senza lutto, senza dolore.
Mi pareva fosse visibile dietro di noi una scia: man mano che abbandonavamo la valle ci lasciavamo dietro preoccupazioni, stanchezze, pensieri, grovigli difficili da sciogliere. In auto abbiamo ascoltato Live From Madison Square Garden di Eric Clapton e Steve Winwood (http://www.deezer.com/album/339209) e mentre lui guidava io leggevo ad alta voce alcune pagine di My generation di Igort, un libro che è un’immersione nella musica, nella cultura e nel dramma degli anni’70 (http://www.chiarelettere.it/libro/narrazioni/my-generation-9788861908536.php).
Pioveva. Il cielo era grigio. Il mare era piatto. Io indossavo un maglione blu. Lui era bellissimo.
Prima il mare, poi la campagna, poi la montagna. Tutto percorrendo cento chilometri appena. Lungo la strada mutavano i colori, la temperatura scendeva, il silenzio ricopriva ogni cosa. L’unica voce era quella del vento. Ci siamo fermati a fotografare gli alberi accesi di arancio, uno in particolare, proprio sulla strada, sembrava il roveto ardente dal quale Dio parlò a Mosè rivelandogli che proprio lui, fuggitivo e balbuziente, avrebbe potuto sfidare il faraone d’Egitto e liberare gli ebrei dalla schiavitù.
Avevo freddo, ma sono rimasta sotto la chioma a vedere le foglie tremare, staccarsi, cadere e piovermi addosso come pioggia luminosa.
I bordi delle strade erano pure ricoperti d’autunno: milioni di foglie morenti adagiate sfinite, ma fiere di aver portato a termine il proprio compito. Fino a qualche anno addietro io odiavo la “fine”, qualunque fosse la sua declinazione e pure l’autunno mi stava stretto per quella privazione di luce che mi sembrava sempre improvvisa ed ingiusta.
Adesso non è più così. Adesso la “fine” delle cose, mi consola. Non mi sembra facile né indolore, semplicemente la sento necessaria perché tutto si possa rinnovare. E pure il buio mi è meno ostile: c’è bisogno che l’oscurità avvolga le cose, come i bulbi dei fiori che per germogliare restano nascosti e muti fino al tempo opportuno. Ecco, l’autunno è diventato per me il tempo opportuno, per lasciar andare ciò che ha bisogno di morire e attendere ciò che fiorirà non appena sarà pronto a farlo.
Abbiamo raggiunto Piano Battaglia (http://www.pianobattaglia.it/), restando a bocca aperta ad ogni curva. Poi siamo scesi, di nuovo, in mezzo al fango, alla pioggia e al freddo, per rendere omaggio ai due “Patriarchi”, i grandi Faggi che da secoli sorvegliano la vallata. Quando la pioggia è diventata battente abbiamo bussato al Ristoro dello scoiattolo (https://www.tripadvisor.it/LocationPhotoDirectLink-g1081305-d7081880-i193122211-Il_Ristoro_dello_Scoiattolo Petralia_Sottana_Province_of_Palermo_Sicily.html), e una gentile signora dagli occhi chiari ha apparecchiato per noi, unici clienti della giornata uggiosa, vicino al camino appena acceso. Erano le due del pomeriggio, fuori c’erano 6 C°, ma la signora non aveva dubbi: “Ancora non fa freddo”. Abbiamo mangiato, parlato, scambiato le idee e immaginato cose. La signora si è fermata con noi per il caffè e ci ha raccontato dell’acquisto di una villa adiacente e del progetto di creare trenta posti letto. Le brillavano gli occhi.
Allora ho pensato che è bello fare progetti e pure provare a realizzarli. Forse bisogna sempre, però, mantenere vigile il senso dell’autunno e sapere che a nessuna cosa e a nessuna relazione, comprese quelle primarie, ci si può attaccare come non dovessero finire mai, perché le foglie si staccano dall’albero, al momento opportuno, e cadono.
Sulla strada del ritorno, ci siamo fermati ancora, questa volta per fotografare alla nostra sinistra un gregge di Faggi, tutti fitti e vicini, pronti ad addormentarsi per l’inverno, color fuoco, bellissimi. Alla nostra destra, invece, incredibilmente, c’era il mare. Enorme, solitario, e blu.
Ho amato la mia terra per la sua bellezza e odiato il popolo cui appartengo per la sua stoltezza, per quella cecità criminale volta a distruggere e umiliare un patrimonio unico al mondo, per ignoranza e pigrizia e per quell’animo sottomesso al prevaricatore di turno che si pensa di raggirare, mai di affrontare, con una furbizia viscida e prepotente, vandalizzando ogni cosa. Ma non volevamo essere tristi o arrabbiati tornando a casa. Abbiamo accolto le notizie del bombardamento ininterrotto su Aleppo est e sui suoi ospedali con profondo sdegno e lottando contro un ineluttabile senso di rassegnazione. Ci ha aiutati a farlo una luce proveniente dal sole oramai al di sotto delle nuvole più scure, una luce abbagliante, pulita. Era un incanto.
Si compiono viaggi importanti, anche percorrendo pochi chilometri e nel giro di alcune ore, sono viaggi personalissimi alla ricerca di qualcosa che difficilmente riusciamo a definire, ma che la ciclicità vitale della natura e del mondo ci permette di riconoscere. I cicli della vita non ripercorrono sempre un’unica strada, non sono la ripresentazione di cose già accadute, così mi pare di capire. Ogni ciclo ci spinge in avanti verso qualcosa di nuovo che possiamo aspettare, desiderare, veder accadere:
Il sole sorge, il sole tramonta;
si alza e corre verso il luogo
da dove rispunterà di nuovo.
Il vento soffia ora dal nord ora dal sud,
gira e rigira, va e ritorna di nuovo.
Tutti i fiumi vanno nel mare,
ma il mare non è mai pieno.
E l’acqua continua a scorrere
dalle sorgenti dove nascono i fiumi.
Tutte le cose sono in continuo movimento,
non si finirebbe mai di elencarle.
Eppure gli occhi non si stancano di vedere
né gli orecchi di ascoltare.
(Qoelet 1, 5-8)
Grazie cara! A me piace molto un verbo coniato, credo inesistente sul vocabolario: autunnare. Il tuo scritto mi ha fatto capire che siamo sulla stessa lunghezza d’onda.