Il post di oggi, non può ignorare la lunga veglia dell’Election Night americana. E proprio per questo, oggi, si resta nella mia città: Palermo.
Questa notte mi ha svegliata il temporale, ho dato un’occhiata alla pagina dell’ANSA, dal cellulare, e non ho più potuto prendere sonno. Pensavo a troppe cose. E me ne chiedevo altrettante. Sono stata disattenta e poco lungimirante credendo che Donald Trump non avrebbe mai potuto vincere. Proprio io che per più di metà della mia vita ho vissuto in un paese guidato da un uomo come Silvio Berlusconi, anzi…che per più di vent’anni ho fatto parte di un popolo capace di votare ad oltranza Silvio Berlusconi.
La gente non vota qualcuno che la possa “rappresentare”, la gente vota chi simboleggia le frustrazioni e le mancanze: denaro, potere, arroganza, possibilità di soddisfare ogni desiderio, capacità di cancellare e non di risolvere le paure.
Così a capo di una delle maggiori potenze mondiali ci ritroviamo un uomo, bianco, ricco, misogino, arrogante. Pensandoci ho quasi riso, sinceramente. Basta osservare un attimo il mondo che ci circonda, infatti, per capire che Donald Trump non rappresenta nessuno, non rappresenta nulla di quanto stia veramente accadendo e facendo la storia.
Per questo vi porto a Palermo, oggi. Per questo non vi racconterò nessun libro, dipinto, canzone, museo, scultura etc etc.., ma un’opera d’arte molto molto più grande.
Andiamo nel cuore della città: vicolo san Carlo, vicino piazza della Rivoluzione. E ci andiamo perché è lì che si trova uno dei centri di accoglienza della Caritas. E’ varcando quel portone che ho visto negli occhi i ragazzi che attraversano il mare e che approdano in questa isola grande e disperata. Li ho visti riuscire a giocare a calcio e biliardino, ridere e cantare nonostante siano minori non accompagnati con le radici spezzate e un futuro nero e profondo come il mediterraneo nei giorni di tempesta. E’ lì che ho portato gli abiti raccolti con generosità dai miei colleghi di scuola ed è lì che l’uomo che mi vuol bene mi accompagna con amore e fatica a trasportare quel che speranza e solidarietà riescono ogni tanto a mettere insieme.
Sono adolescenti, altissimi, magri, con la pelle scurissima e il sorriso di perla. Qualcuno ha lo sguardo triste, qualcun’altro ci osserva incuriositi, noi che possiamo entrare ed uscire quando vogliamo, noi con un documento di identità in tasca e uno Stato di cui lamentarci, noi che viviamo in pace, che possediamo le garanzie del diritto, che abbiamo un lavoro e delle radici, lì dove il seme è stato piantato.
A vicolo san Carlo si distribuiscono 200 pasti al giorno e le storie si intrecciano creando una rete di sostegno e protezione per lo smarrimento di chi cerca rifugio e nuove possibilità.
E poi, poi lasciamo il centro storico e andiamo verso il mare. Al Porto di Palermo sbarcano i salvati e i cadaveri. Ma sopratutto sbarcano le donne, quelle incinta o quelle con i piccoli nati durante la traversata o messi dentro una coperta nella speranza di sentirli piangere sulla riva dall’altro capo del mare. Sbarcano donne con il seno pieno di latte e una disposizione al sacrificio che solo l’istinto di sopravvivenza e la sete di vita possono creare e che è più forte, molto molto più forte di Donald Trump.
Palermo, solo uno dei tanti luoghi d’Europa in cui è visibile la trasformazione del mondo. Il futuro è loro: il futuro ha la pelle scura, la forza delle donne e un desiderio di vita che nessun muro, nessun populismo, nessun fascismo potranno fermare.
Donald Trump è il rappresentante del mondo che muore.
Non spaventiamoci, dunque. Oppure facciamolo, ma solo se questo serve a prendere sul serio il tempo che stiamo vivendo, la nostra personale responsabilità e l’urgenza di aprire gli occhi sulla realtà. Non è restituendo potere agli ideali passati e sconfitti che colmeremo la paura per un cambiamento di cui non riusciamo ad immaginare la meta, ma il cui cammino non riusciremo in alcun modo ad arrestare.
Trump, Putin, Erdogan, il ristabilimento delle frontiere, il terrorismo, la guerra in Siria, il cambiamento climatico, la quotidiana nostrana povertà, i morti in mare, le armi nucleari….potrei continuare a lungo. Il senso di impotenza, paralizza. Sopratutto quando si è quotidianamente bombardati da un sistema di informazione corrotto e bugiardo, le cui responsabilità sono pesantissime e verso il quale sarà necessario prima o poi prendere una posizione.
Oltre le prime pagine dei giornali la vita vera delle persone vere fa il suo corso, in mezzo a multiformi difficoltà e infinite contraddizioni, ma scrivendo una storia molto differente rispetto a quella che il patinato Trump rappresenta, rispetto al tentativo di farci credere che egli sia tutta la realtà e tutto il pericolo.
L’elezione del miliardario americano non è la fine del mondo. Anzi, forse è l’occasione per aprire gli occhi, finalmente, e superare lo sconforto e il catastrofismo . Forse, con la vittoria di Hilary Clinton sarebbe rimasto ricoperto di polvere e rassegnazione il nucleo del problema che è dentro di noi prima d’essere fuori di noi. Ci saremmo convinti che l’elezione di una donna era il passo avanti necessario al cambiamento che tutti ci aspettavamo, così come abbiamo creduto che un presidente dalla pelle nera avrebbe portato la pace nel mondo.
Tutti siamo responsabili, in un modo o nell’altro, consapevoli e non, dell’ascesa al potere di Donald Trump. Staniamo in noi stessi l’ombra lunga della resa e della stanchezza, della rassegnazione e della lamentela fine a se stessa, dello scontento e dello sconforto. Togliamoci le mani dai capelli per questa vittoria/sconfitta che ci ha forse solo ipocritamente sorpresi e tendiamole verso noi stessi e verso chi può stringerla per bisogno e aiuto, paura, solidarietà senza farci promesse che poi tradirà perché non può annunciare nessuna ricompensa né distribuire il sogno di milioni di posti di lavoro.
Lasciate stare Trump, l’America e l’imminente fine del mondo: venite a Palermo, ce n’è una ovunque voi siate, in qualunque parte del mondo.
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