Come una sorgente

Era estate e faceva molto caldo, perfino in Russia.
La Russia. Non occupava alcun posto tra le mete dei miei sogni, ma ero molto giovane allora e sapevo poche, pochissime cose. Accettai di far parte di una strana compagnia composta da alcuni professori della facoltà di Teologia, qualche collega e qualche personaggio in cerca d’autore. Era il mio primo viaggio fuori dall’Europa.

periferia-mosca_202L’arrivo a Mosca fu traumatico. Attraversare la periferia intravedendola dall’autostrada che collega l’aeroporto al centro città è un pugno allo stomaco. Palazzi. Tutti uguali. Tutti grigi. Per chilometri e chilometri. Nessun balcone. Finestre piccole. Piccolissime.

Mosca è quasi tutta grigia. Ed è immensa. Ma in questa distesa monocolore di un’uguaglianza imposta e mai realmente realizzata, esplode il colore della piazza Rossa ed esplode la luce sulle cupole delle basiliche del Cremlino.

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A San Pietroburgo, invece, siamo arrivati in treno. Un viaggio lungo, attraverso una infinita distesa di betulle senza né case né uomini. Il treno puzzava di vodka e rimbombava di grida in una lingua dura e sconosciuta. La città è bellissima, al grigio del decaduto regime si è sostituito il colore vivo dei palazzi costruiti dagli architetti italiani e all’afa una frescura umida e sempre carica di nuova pioggia.

89863c67-f15d-4d34-b234-f1a10aa1fc38L’Hermitage è un posto incredibile. Gli occhi non sanno dove posarsi, i piedi rincorrono lo spazio di mille sale e il cuore è continuamente sollecitato allo stupore. Ho visto moltissime opere studiate sui libri, che mi hanno restituito il senso delle ore trascorse nella fatica d’imparare. Fra tutte le Tre grazie di Antonio Canova sono state l’incontro che non immaginavo di poter fare. Poste al centro della sala, in alto, non si possono guardare se non con la testa indietro e il naso all’insù. La perfezione e la dolcezza delle forme, la bellezza dei corpi che elogiano il movimento pur restando immobili, le espressioni del volti strappati al freddo del marmo e donati al calore degli sguardi. E’ stata una grande emozione. Ma, con il senno del poi, che è uno dei miei più preziosi compagni di vita, ho capito che non soltanto lo stupore dell’opera d’arte mi aveva coinvolta in quella visione. C’era dell’altro. Qualcosa che avrei compreso molti anni dopo e a prezzo di molte e non sempre facili esperienze. Era la “femminilità”.

Non certo quella dei tacchi alti e delle creme anti età, ma quella dello spirito dato in dono, come un mistero, a noi donne. Non a tutte in egual modo, forse, ma comunque nascosto come un tesoro nell’animo di ciascuna. Non è solo un modo di muoversi e non è mai un atteggiamento costruito, è come una specie di grazia che occupa lo spazio concavo del nostro corpo e del nostro cuore. Non è necessariamente legato alla famigerata maternità fisica, basta osservare come va il mondo per comprenderlo. E’ qualcosa di più profondo e primordiale. Forse è la confidenza con il patire e con il sangue, il frutto della fatica di una trasformazione ciclica ma mai uguale a se stessa. Forse sono le forme del corpo di per sé armoniche molto, molto al di là della forzata corrispondenza ai cangianti  e a volte perversi modelli estetici. Forse, però, osservando la scultura, mi viene da pensare che la femminilità, in qualche modo che non so dire, sia pure legata alla solidarietà che esiste tra le donne, ad una certa “sorellanza”. Una delle tre grazie, presa a solo, per quanto bella, non avrebbe mai e poi mai potuto esprimere la stessa forza che viene dal loro abbraccio senza possesso.

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Si toccano appena, si guardano, si appoggiano l’un l’altra, quasi senza peso, ma donando un grande senso di stabilità a chi le osserva. Vi è confidenza, conoscenza, comprensione, sostegno. Non credo sia un valore di altri tempi, compromesso oramai da un mondo tanto cambiato da sembrare quasi impazzito, a volte confuso, sterile. Credo sia una realtà che lacera dentro quando non viene riconosciuta o, peggio, volutamente infranta. Bisognerebbe ri-conoscersi continuamente: l’anziana nella giovane, la giovane nell’anziana, la donna matura nella bambina, la bambina nell’adolescente. Dovrebbe esserci uno scambio continuo, come una sorgente, di saperi e dispiaceri, di segreti e di nuove scoperte. Una dinamiche difficile, ma preziosa. Dovrebbero insegnarci che quel che sembra perdersi con l’avanzare dell’età e la difficoltà della vita, in realtà è solo donato e rimesso in circolo, per sempre presente, per sempre vivo.

2 pensieri su “Come una sorgente

  1. Grazie Giulia! Tu parli di Mosca e dell’Hermitage di S. Pietroburgo e risvegli i miei ricordi legati al mondo femminile. Di Mosca mi porto dietro l’immagine di una donna vista per strada, che sembrava provenire direttamente dagli anni cinquanta, ferma davanti ad una bancarella di libri. Mi colpì il suo interesse legato alle emozioni in quello spazio pieno di tante realtà (noi turisti, lei, l’austerità povera della strada secondaria) che io vedevo fuori dal tempo e quindi eterno. Dell’Hermitage un’immagine femminile, forse dovrei dire meglio materna, o meglio ancora di cura propria della madre: il ritorno del figliol prodigo nel dipinto di Rembrandt, accolto dal padre che ha due mani diverse, di cui una femminile.

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