Non è vero che la quiete viene dopo la tempesta. Accade che sia la tempesta, nel suo accadere, ad essere la quiete.
Giorni di afa, esplosa nel bel mezzo di un’estate che non è ancora riposo per nessuno, se non per i bimbi e i ragazzi, liberati dagli argini stretti dei banchi di scuola.
A volte lo sforzo e la fatica raggiungono il loro apice estremo sotto le mentite spoglie della vita quotidiana, una corda tesa all’infinito. La terra si spacca, il cuore si asciuga, la polvere è secca e confonde lo sguardo.
Impossibile resistere oltre. Ma, allo stesso tempo, sembra di poter andare avanti così per sempre. L’uomo si abitua a tutto, la natura no. La natura si salva, per istinto, la natura genera la tempesta.
Lavoro, leggo, sudo. Non penso a niente, non penso a niente. La corda è tesa, l’umidità ringhia. Domani come oggi, domani come ieri. Fa caldo. Lavoro, rileggo, non penso a niente, non penso a niente, la corda è tesa, il sole è una pietra, e brucia.
Poi, un attimo.
Le foglie secche raschiano il terrazzo. I gabbiani volano bassi. Il vento si alza, la tenda comincia a danzare. Mi alzo anch’io, mi affaccio, il sole è impallidito, le nuvole si muovono, impazzite, potenti e nere. L’afa si scioglie, come un incantesimo, tutto gira, tutto si muove. E’ giorno, ma è buio. L’attesa scandisce il tempo: adesso arriva, adesso piove. Tutto si gonfia. E poi una goccia, grossa, sola. E poi due e tre e quattro e cento e mille. Non si contano, si ascoltano, è ritmo. Luce. Silenzio. Tuono. Luce. Silenzio. Tuono. Silenzio.
Un attimo, tutto è cambiato. La corda si allenta, è caduta, riposa. Dalla finestra una raffica, fresca, d’aria nuova, fuoco che si spegne, respiro. Respiro. I tuoni parlano, i vetri tremano, è quiete. Leggo, lavoro, penso a te, penso a te. L’acqua colpisce i vetri, violenta. Tutto è calmo. La natura genera la tempesta, la natura si salva.