Fuga, da ogni cosa

Gridava forte, il treno, la sua selvaggia disperata nota: come se la fiera macchina sapesse che, dopo tanti sforzi furibondi, brucianti, dopo tanta ruggente, lampeggiante fatica, i suoi dominatori umani sarebbero discesi a destinazione sempre uguali, sempre schiavi, a fronteggiare là come altrove le goffe commedie della vita.

Rabbiosamente esultava il treno lungo la brillante parallela delle rotaie che si allargavano sotto le grandi ruote per restringersi subito, davanti e dietro. I pali del telegrafo gli si precipitavano incontro, balzando su come alti uomini minacciosi; ad uno ad uno venivano abbattuti, e fuggivan via. Snodando agili pistoni, soffiando getti di argenteo vapore la macchina ruggiva, gloriosa nel suo compito, gloriosa nella sua cieca fedeltà, nella sua passione…Poco le importava che tutto sarebbe stato da rifare, in opposta direzione, il giorno dopo.

Joyce, in piedi nel vestibolo della vettura Godiva, stava fumando una sigaretta. Vi era rimasta durante la maggior parte del viaggio, giacchè, in treno, la sua fantasia diventava sempre troppo attiva per permetterle di starsene tranquillamente seduta. […] Joyce non pensava mai ai treni come accorrenti verso qualcosa, ma piuttosto come fuggenti da qualche cosa, disperatamente. Quelle grandi eloquenti macchine stavano accucciate e raccolte, pronte alla fuga, simili a grandi belve ansanti di paura. Erano i simboli dell’universale terrore: e lei tremava di eccitamento nel sentire il brivido della fuga…fuga da ogni cosa. […]
La sua mente reagiva con fresca sensibilità alla stranezza dei volti umani, al colore e alla vitalità della campagna, alle forti rigonfie curve delle colline. Sto volando, sto volando, cantava. Sto volando via da un sogno, sono un poco folle. Troppe cose affluiscono alla mia mente, non le può contenere tutte, pensieri di ogni sorta straripano fuor dall’orlo, si perdono per mancanza di posto.

da Tuono a sinistra di C. Morley

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