Ho appena finito di leggere la versione integrale dell’intervista che ieri Papa Francesco ha rilasciato al gesuita Antonio Spadaro. Ho cercato di leggere con attenzione, visto che, secondo i quotidiani di ieri e di oggi, questa intervista rappresenta la svolta progressista della Chiesa Cattolica.
Se qualcuno fosse stato spettatore della mia lettura, si sarebbe davvero confuso. Il mio volto, infatti, ha cambiato espressione centinaia di volte: ho sorriso, ho crucciato le sopracciglia, ho spalancato gli occhi, mi sono messa le mani nei capelli, ho sentito salire dalla pancia agli occhi una massiccia dose di tenerezza.
Le parole di papa Francesco sono soprattutto….le parole di papa Francesco. Voglio dire che, mi pare, prima d’ogni cosa, si evinca qualcosa di lui, della sua storia, della sua vita, delle cose che ama, di ciò che pensa e desidera. E, forse (ma questo non l’ho ancora capito), l’intenzione dell’intervista era proprio questa: far conoscere meglio papa Bergoglio (è così che inizia il dialogo: “Chi è Jorge Mario Bergoglio?”). Parole, sentite, affidate, da gesuita a gesuita, certamente consapevoli, entrambi, che ad ascoltare sarebbero stati davvero in tanti. Tanti ad ascoltare. Ma ancora più numerosi coloro che, per mestiere, per dovere o per piacere, avrebbero non solo interpretato, ma inevitabilmente manipolato, le sue parole.
Il papa parla di molte cose, dunque. Dalle sue opere letterarie e musicali preferite si passa a questioni strettamente legate alla vita della Chiesa: il rapporto fra la Chiesa e l’uomo, l’annuncio del vangelo, la misericordia di Dio, le questioni scottanti come la famiglia, i divorziati, l’aborto, l’ecumenismo. Tante cose, troppe, forse, per considerare queste parole un “insegnamento” preciso su ciascuna di esse.
Nessua novità, infatti. Almeno dal punto di vista dottrinale l’intervista resta dentro ai binari percorsi da tempo. Quello che, pare mutare, è il modo di comunicare tale contenuto dottrinale. Potrei definire questa modalità: “occhi negli occhi”. Proprio così. Bergoglio confida al suo interlocutore la difficoltà che prova davanti alle masse, il disagio che gli provoca una comunicazione/relazione che non può essere diretta: “Io riesco a guardare le singole persone, una alla volta, a entrare in contatto in maniera personale con chi ho davanti. Non sono abituato alle masse“. E questo suo tentativo lo si percepisce chiaramente: le risposte personali alle lettere ricevute, le telefonate, il famoso “buongiorno/buon appetito”. Un linguaggio, una modalità di relazione che arriva a tutti, proprio perchè utilizzata da tutti, ogni giorno, all’interno del nostro rapportarci con il mondo che ci è prossimo.
Leggo con attenzione i passaggi dell’intervista che cercano di delineare l’identità del pontefice. Il percorso fatto, le figure che per lui sono state importanti, le letture, la formazione, i diversi compiti svolti all’interno della Compagnia di Gesù, gli errori fatti e le cose imparate dagli errori commessi. La sua storia. Le tappe che lo hanno portato lì dove è adesso. E mi piace la definizione del discernimento come il “sentire le cose di Dio dal suo punto di vista“: “Questo discernimento richiede tempo. Molti, ad esempio, pensano che i cambiamenti e le riforme possano avvenire in breve tempo. Io credo che ci sia sempre bisogno di tempo per porre le basi di un cambiamento vero, efficace. E questo è il tempo del discernimento […]. Il discernimento si realizza sempre alla presenza del Signore, guardando i segni, ascoltando le cose che accadono, il sentire della gente, specialmente i poveri. Le mie scelte, anche quelle legate alla normalità della vita, come l’usare una macchina modesta, sono legate a un discernimento spirituale che risponde a una esigenza che nasce dalle cose, dalla gente, dalla lettura dei segni dei tempi. […] La sapienza del discernimento riscatta la necessaria ambiguità della vita e fa trovare i mezzi più opportuni, che non sempre si identificano con ciò che sembra grande o forte “. Ho voluto riportare questo passaggio perchè, a mio parere, contiene una chiave di interpretazione importante.
Il tempo e il discernimento. Ecco di cosa, molti di noi, i mezzi di comunicazione, l’opinione pubblica sta privando papa Francesco: del tempo e del discernimento. Guardo con diffidenza il fenomeno mediatico che lo sta travolgendo. Non fa bene a lui, non fa bene alla Chiesa, non fa bene a chi cerca la verità. Mi chiedo quanti, tra i fedeli si siano seduti a leggere la lunga intervista del pontefice, non basando il loro consenso sugli spezzoni riportati dai giornali o, peggio, dai telegiornali. Mi chiedo quanti tra coloro che gridano alla svolta conoscano i documenti ufficiali sulle questioni affrontate nell’intervista. Il papa parla della Chiesa come popolo e cita la Lumen gentium. Ma quanti dei giornalisti che utilizzano le parole del papa sanno cosa sia e cosa contenga la Lumen gentium?
Non voglio dire che solo i teologi o i religiosi, o i preti hanno il diritto di esprimere la propria opinione sulle parole del pontefice. Dico soltanto che bisognerebbe avercela davvero un’opinione. Perchè? Perchè l’accoglienza delle donne che hanno abortito, dei divorziati, degli omosessuali, la faticosa fiducia nella “persona”, chiunque essa sia e qualunque cosa abbia fatto, la vicinanza, la pietà, la misericordia nel nome di Gesù esistono nella Chiesa da prima che arrivasse papa Bergoglio, da 2000 anni, circa, più o meno da quando un certo rabbi di Nazareth ha evitato la lapidazione di un’adultera e non ha sottratto i suoi piedi alle lacrime di una prostituta. E tutto questo esiste non solo tra i “religiosi”, ma anche, anzi sopratutto, tra la gente comune. Tra i credenti di “periferia”, per utilizzare proprio un’espressione cara al papa.
Quanti cristiani si sono trovati a dover discernere tra la dottrina ufficiale, recinto a volte troppo stretto per la Parola di Dio e per la vita, e la propria coscienza! Quanti hanno pagato e stanno pagando con la solitudine, la sofferenza, l’amarezza dell’incomprensione, la fatica e la coerenza dei propri studi teologici e delle convinzioni che ne scaturiscono? Quanti credenti, preti, religiosi e laici hanno curato le ferite e, sopratutto, testimoniato e insegnato, ascoltato, lottato, passato notti insonni perchè le ferite potessero anche non accadare, venissero evitate quando possibile?
Forse la Chiesa, quella che non finisce sui giornali, quella che non sempre riesce a scalfire il sentito dire, le cose che “si sono fatte sempre così”, l’assenza di senso critico, forse quella Chiesa ascolta e accoglie le parole del pontefice ma si basa e si costruisce e si nutre soprattutto di altre Parole. Oggi abbiamo la grazia di avere come papa il cardinale Bergoglio. E se domani venisse eletto un papa conservatore, reazionario, poco sensibile ad alcuni temi importanti, come in passato è accaduto, allora cosa succederebbe? Si tornerebbe tutti indietro in massa?
Chissà se papa Bergoglio sarebbe contento di sapere che molti fedeli la domenica, sono costretti ad ascoltare omelie fatte di parole sulle sue parole. Io credo che ne sarebbe mortificato. E anche io mi sento mortificata. E se invece concentrassimo ed indirizzassimo le nostre energie per restituire ai fedeli la Parola del loro Signore? Per dare ai credenti gli strumenti necessari alla comprensione della Scrittura? Ridimensionando le mediazioni? È pericoloso mettere in mano a tutti la Bibbia? Forse. Ma la Rivelazione, la volontà del Padre di farsi conoscere, di farsi vicino all’uomo attraverso Gesù non è una consegna che il Signore fa di se stesso nelle mani di tutti?
Mi auguro che papa Francesco possa continuare a guidare la Chiesa. Mi auguro che continui a farsi “prossimo”, a cercare in mezzo alla folla occhi da incontrare. Ma mi auguro anche che metta mano alla penna e che scriva, che si metta davvero in ascolto del popolo, di quel popolo che ama Gesù pur senza averlo visto (cfr. 1Pt 1,7-8) e che per questo cerca di capirlo, di conoscerlo di seguirlo. Mi auguro che scriva dopo aver ascoltato e pregato e fatto quel discernimento che lo caratterizza producendo non solo “opinione”, ma anche un Magistero capace di cambiare a lungo termine le cose, un Magistero che curi le ferite, anche quelle che esso stesso nel corso della storia ha inflitto. Mi auguro possa piano piano dar vita ad una prassi che nasca dalla comprensione della Scrittura e (finalmente) del Concilio Vaticano II. Un amico, persona a me davvero cara, teologo moralista, oggi mi ha detto che siamo tutti così impegnati a capire come riuscire a fare i maestri che abbiamo dimenticato d’essere, tutti, discepoli. “Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi“. (Gv 8,31-32)
Condivido. Merita una lettura il fondo “La sposa infedele” che Giuliano Ferrara su Il Foglio dedica alla recente intervista di Papa Francesco. Comprendo i dubbi di Ferrara come comprendo entusiasmi e delusioni dell’arcipelago cattolico. Non si può fare altrimenti davanti al succedersi del guerriero Giovanni Paolo II, del gigante teologo piagato e piegato Benedetto XVI fino all’irruenza della hispanidad latino americana di Francesco: o ti entusiasmi o ti allontani amareggiato, e per i più acuti resta la confusione. Sullo sfondo la problematica identificazione, mediatica ma purtroppo anche teologica, della Chiesa cattolica romana con il Pontefice.
Grazie Adriano. L’identificazione di cui parli è un problema teologico importante… E il tempo per noi, come dire…si è fatto breve.