Nel corridoio centrale dell’ipermercato, oggi mi è venuto incontro un uomo.
Era un signore anziano. Pochi capelli bianchi, alto, con un’andatura disarmonica. Aveva una maglia rossa ed era avvolto da una grande giacca a vento blu e gialla. Portava gli occhiali, quelli con le lenti che fanno sembrare gli occhi grandi grandi e aveva un’espressione smarrita e infelice.
In una mano stringeva una busta trasparente, con dentro un vestito da Babbo Natale nuovo di zecca, di bassa qualità, con appiccicata sulla plastica la foto di un uomo giovane e forte con quel vestito addosso, sorridente, circondato da regali e bambini dall’aria festante. Sembrava una beffa quella foto con poggiato sopra il suo pollice rugoso. Sotto al braccio portava un pacco di biscotti e con la mano avvolgeva il collo di una bottiglia di vino rosso.
Mi è venuto incontro cominciando a fissarmi da lontano, cercando di aprirsi una strada tra una muraglia di panettoni e una torre di Ferrero Rocher. Ha dato un’occhiata al mio carrello, semivuoto, senza nessun acquisto natalizio, poi ha rialzato lo sguardo senza che smarrimento o tristezza arretrassero di un passo. Ci siamo incrociati e abbiamo proseguito, ognuno per la sua strada.
Ho continuato a fare la spesa e a guardare la gente. C’erano due uomini, ognuno dei quali spingeva un carrello colmo di panettoni, quelli nella scatola di cartone, con una bottiglia di spumante per compagnia e i fuochi d’artificio sulla confezione. Ho contato, erano quaranta scatole. Hanno pagato circa 500 euro, in contanti. Ho dedotto che appartenessero ad un’azienda, una di quelle che invia i regali ai fedelissimi, con i biglietti prestampati, tutti uguali, per augurare buone feste.
Allora mi sono guardata attorno, ho guardato le cose, non le persone. Ho guardato i festoni, i dolci, le confezioni regalo, la frutta secca, i canditi nelle scatole di latta con Gesù bambino il bue e l’asinello, il fiocco argentato sulla casacca dei commessi, i barattoli di nutella di ogni dimensione e colore.
Ho immaginato le stesse persone, nello stesso supermercato l’8 di gennaio. Quando lo spirito delle feste viene svenduto “a prendi tre e paghi due” su banconi senza oro né argento. Quando i Ferrero Rocher smontano a malincuore la loro torre d’avvistamento e si rimettono in fila ordinata e anonima negli scaffali del reparto dolciumi, quando sulle casacche dei commessi rimane appesa soltanto una bustina di plastica con dentro il tesserino e una foto di riconoscimento che sorride in loro vece, sempre, anche a chiusura, quando la stanchezza stronca le caviglie e le voci della gente e la musica rimbombano nel cervello come una droga. Ho immaginato l’uomo anziano ripiegare il suo alter ego e riporre Babbo Natale dentro la busta con la foto stropicciata.
Allora ho capito perché quest’anno non ho tirato fuori gli addobbi, perché mi infastidiscono le luminarie e non ho comprato ancora un solo regalo. E’ perché non sopporto più ciò che non lascia un segno. La sterilità delle cose, perfino di quelle “spirituali” che pure sanno essere sterili e mutare la loro profondità in un pozzo nero di tanfo e veleno. La ciclicità dei doveri mi pare spaventosa. Fosse pure il “dovere” della gioia. Rivendico il diritto ad una festa che trasforma, al passaggio di persone, vicende, storie e occasioni che mutano il paesaggio come lo scirocco le dune di sabbia. Non voglio vestire a festa ciò che resta sotto uguale a se stesso, felice o triste che sia. Preferisco lasciare tutto spoglio. In attesa. Preferisco saltare il turno, rimanere indietro, non tenere il tempo. E semmai arriverà la stagione di una festa che trasforma, allora mi vestirò da Babbo Natale fosse pure in pieno agosto e monterò luminarie d’argento nella luce invincibile dell’estate, farò il panettone con le mie mani abbronzate, comprerò regali in primavera e festeggerò il nuovo anno nel mezzo dell’autunno. Da allora in poi potrò rientrare nei cicli festivi della terra e camminare lietamente tra le torri di cioccolata e canditi, sorriderò agli uomini anziani che abbracciano babbo natale e una bottiglia di vino rosso. Ogni segno porterà la sua metamorfosi e non ci sarà, almeno per me, nessun ritorno alla normalità, si procederà per cambiamenti di fiore in frutto, di frutto in seme, di seme in fiore, di fiore in frutto…..