Azione Politica

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Chi senza un buon motivo abbandonerebbe il posto che ama di più al mondo? (Daniele)

Tasneem ci ha raccontato quello che sta passando la sua gente in Siria e anche la sua famiglia che si trova ancora là. Mentre  diceva queste cose guardavo nei suoi occhi la tristezza che potrebbe avere chiunque di noi pensando alla propria famiglia nella sofferenza. (Riccardo)

Io inizialmente pensavo che queste persone arrivavano nel nostro paese per rubare posti di lavoro agli italiani. Ma successivamente la mia idea è cambiata: penso che queste persone debbano essere aiutate e non ostacolate. Noi e tutti gli altri paesi europei dovremmo garantire loro sicurezza e affetto. (Francesco)

Grazie a questo progetto sono venuto a conoscenza di un accordo tra Europa e Turchia che non è altro che uno scambio tra soldi e vite umane. (Davide)

Il progetto sulla Rivoluzione siriana mi ha aiutato a  riflettere su alcuni eventi in modo differente da quanto non avessi fatto in precedenza. Grazie a questo progetto ho imparato a non avere pregiudizi sulle persone e ad immedesimarmi in altre situazioni. L’incontro che mi è rimasto più impresso è quello che riguardava Paolo Dall’Oglio, un gesuita che ha saputo far convivere in Siria in modo pacifico cristiani e musulmani. Da quando è stato rapito non si hanno più sue notizie, speriamo stia bene. (Alessio)

Prima di questo progetto pensavo fermamente che tutti i musulmani fossero terroristi, facevo di tutta l’erba un fascio. L’incontro che mi è piaciuto di più è stato quello con l’avvocato Fulvio Vassallo, perché ci ha spiegato cose sui migranti che nessuno ci aveva detto prima. (Marco)

Io non lo so se ci può essere una soluzione al terrorismo, certe volte mi sembra di no. Forse l’unica cosa che si può fare è capire quali sono le reali richieste e necessità dei popoli dove il terrorismo nasce. (Giuseppe).

Tutto è cominciato nel maggio 2012, quando lavoravo nella redazione di “Uomini e profeti”, presso Rai Radio 3. Una domenica mattina Gabriella Caramore intervistò al telefono, in diretta dalla Siria, il gesuita Paolo Dall’Oglio, e da allora tutto è cambiato.
E’ stato il mio battesimo alla politica internazionale grazie al quale la Siria è diventata “affar mio”, così come le rivoluzioni del mondo arabo, le guerre civili che ne sono scaturite, il flusso migratorio che ne è nato.
Non poteva che essere così, non potevo non informarmi, non sapere, non conoscere la vita di coloro con i quali ho in comune il Mare Nostrum.

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Con i paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo condividiamo da secoli il cibo offerto dal mare, la storia, le radici delle parole, l’arte, la fisionomia. Non ci può essere loro gioia o disgrazia che non coinvolga anche noi, perché in Sicilia sono l’Africa e il Medio oriente ad essere di fronte, vicino. Lo sappiamo. Lo sanno i corpi, prima ancora che i pensieri e le consapevolezze. Ad occhio nudo noi scorgiamo solo il sud. Il resto è orizzonte e mare deserto.

Dopo il rapimento di Paolo Dall’Oglio ho cominciato a studiare la vicenda siriana, la storia del popolo e del territorio, le implicazioni politiche internazionali, la ferocia delle ragioni economiche, assassine più delle armi chimiche di Bashar al Assad. Ma studiare, ad un certo punto, non mi è bastato più. Nel mare la semina  dei morti, come chicchi senza frutto su un campo avvelenato, mi costringeva a fare qualcos’altro. Ho scelto allora l’unica cosa che potevo fare nel contesto in cui mi trovavo: insegnare. Così, prima a Roma e poi a Palermo, molte delle mie lezioni hanno cominciato a riguardare la Siria, le rivoluzioni arabe, le migrazioni, il dialogo interreligioso. E’ stato difficilissimo e bellissimo, fin dall’inizio.
Le rovine dei bombardamenti, i campi profughi, i barconi pieni di migranti che colano a picco…i ragazzi ne hanno percezione solo attraverso la TV. A quelle immagini se ne affiancano altre, patinate e ingannevoli come un perverso effetto ottico che stravolge la realtà. Distinguere la verità dall’inganno non è facile, per nessuno. I nostri adolescenti ascoltano spesso gli adulti bestemmiare lo straniero e assimilano così un odio per procura che cresce in modo direttamente proporzionale all’ignoranza dei fatti.
La prima fatica è, dunque, formare all’informazione. Non Facebook o Striscia la notizia, ma siti internazionali e giornali e documentari, senza veline e giochi a premi. Per loro è faticoso e fastidioso incamminarsi per questa strada. Ma c’è una cosa che li convince ad andare avanti e a perseverare: la comprensione dei processi. Scoprire in che modo  è nato l’Isis, ad esempio. Sapere cioè quali vicende hanno portato alla formazione di una organizzazione che occupa lo spazio più oscuro dei loro incubi. Vogliono sapere cosa c’è dietro questo Islàm presentato sempre come una minaccia troppo grande, quali sono le ragioni che stanno dietro ad atteggiamenti, abbigliamenti, usanze e rituali ormai quotidianamente presenti per le strade di Palermo, nei loro condomini e nelle classi. Vogliono comprendere cosa succede dall’altra parte del mare, perché uomini, donne e bambini lasciano la propria terra e la casa per venire fin qui a fare una vita tanto difficile e disgraziata.

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Tasneem Fared e Giulia Lo Porto, Aula magna I.S. Majorana, Palermo.

Quest’anno presso l’I.S Majorana di Palermo, dove insegno, insieme ad una mia collega, ho deciso di scrivere un progetto che coinvolgesse più classi, più ore e maggiori energie. Il progetto dal titolo: “La Rivoluzione Siriana, il diritto alla libertà: per una lettura del flusso migratorio”, è stato approvato ad una unanimità dal Collegio dei docenti. E sono stata contenta, ovviamente. Ma ancora più contenta mi ha reso constatare, per loro stessa ammissione, che i primi ad essere interessati al contenuto del progetto erano proprio loro, i colleghi. Consapevoli più dei ragazzi delle lacune (spesso volute) nell’informazione del nostro paese, ma troppo impegnati per compiere personali ricerche e approfondimenti hanno trovato nelle lezioni svolte durante il progetto una possibilità concreta di formazione. Ed è stato importante, perché si è creata un rete di informazioni in grado di sostenere i ragazzi anche al di fuori del tempo dedicato al progetto.

Io insegno da pochi anni ed ho molte cose da imparare. Ma una cosa la so: se l’insegnamento non diventa esperienza, imparare non è possibile. Così, grazie all’aiuto prezioso di un amico scrittore e giornalista ho deciso di fare del progetto didattico uno spazio di incontro con persone che avevano esperienza diretta e concreta degli argomenti che stavamo trattando. Le parole sono diventate corpo, il corpo si è fatto racconto e il racconto è diventato esperienza.

Daniele Sicari, ricercatore di Storia dei Paesi islamici presso l’Università di Palermo ha spiegato il significato nascosto dietro alle usanze culturali legate all’Islàm, abbattendo di fatto, non pochi pregiudizi;

Marta Bellingreri, arabista e mediatrice culturale in collegamento da Londra ha raccontato ai ragazzi la Rivoluzione siriana a partire dall’esperienza fatta dai giovani che lei stessa aveva conosciuto, che avevano un nome e un volto e che realmente avevano percorso le strade delle città siriane chiedendo democrazia e diritti, che avevano scritto sui muri l’insopprimibile anelito alla libertà, che avevano vissuto sulla loro pelle la violenza del regime.

Tasneem Fared, attrice siro-palestinese, attivista, protagonista del film “Io sto con la sposa” ha raccontato ai ragazzi delle bombe, degli amici morti, della famiglia ancora a Damasco, della vita che “è forte” e resiste e lotta per affermarsi dove tutto sembra perduto.

Fulvio Vassallo, avvocato che opera attivamente nella difesa dei migranti e dei richiedenti asilo ha svelato con molta pazienza e chiarezza tutti i diritti costantemente negati e ignorati dagli Stati nella gestione dei flussi migratori. I ragazzi erano sgomenti e, allo stesso tempo, contenti di scoprire e di poter acquisire gli strumenti necessari a interpretare la realtà in cui vivono, la storia di cui vogliono essere protagonisti.

Certo, non tutti i ragazzi hanno mostrato il medesimo interesse. Molti, almeno apparentemente, sono stati distratti, altri pare non siano stati toccati per nulla dalle parole, dalle esperienze, dagli incontri: E così che succede a scuola. Ma la scuola è res publica, “cosa del popolo” cioè appartiene a tutti e a tutti deve essere offerta la possibilità di crescere.

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Avv. Fulvio Vassallo in dialogo con gli studenti  dell’ I.S. Majorana

Io sono contenta, lo dico. Senza false modestie o discorsi di circostanza. Siamo stati bravi, tutti. Si, sono contenta nonostante le piccole grandi cose che potevano andare meglio, nonostante la visita della Digos venuta ad assicurarsi che non fossimo una cellula terroristica, ma persone desiderose di conoscere, sapere, capire, formare, agire. Sono contenta perché non sono stata sola e perché mi sono resa conto che nella mia città e a partire dalla mia città esistono moltissime persone in contatto fra loro che studiano e si formano per garantire libertà, accoglienza e diritti. Sono contenta perché leggendo le relazioni dei ragazzi, da cui sono tratte le citazioni iniziali e finali, ho avuto la sensazione netta e lieta di aver compiuto con questo progetto un’azione politica in grado di innescare un cambiamento. Non è di partiti che si tratta né di campagne elettorali, non è di logiche di potere né di interessi da spartire, ma della possibilità di essere umani, di ritagliarsi spazi di dialogo e studio e comprensione e di imparare a sentirsi parte di un mondo più vasto, che supera di gran lunga i confini dei nostri appartamenti e che oggi non ci è più concesso di ignorare. Il tempo di delegare ad altre persone, alle sole istituzioni o alle ideologie la nostra personale responsabilità nei confronti della storia, è scaduto.

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Foto di Ameer Alhalb

AZIONE: da actus “fare, operare”, diritto di agire.
POLITICA: da polis “città”, termine in uso per designare ciò che appartiene alla dimensione della vita comune.

Secondo me la guerra è il modo con cui l’essere umano dimostra di essere debole. (Gianluca)

Ho capito cosa vuol dire veramente aiutare il prossimo grazie a Paolo Dall’Oglio, guardando i video e ascoltando le cose che diceva. Durante quell’incontro in aula magna mi sono emozionato e poi, tornando a casa, ho cercato altre notizie. (Roberto)

Da questo progetto si è capito che non tutte le notizie provenienti dai telegiornali e riguardanti la situazione odierna sono attendibili, molte notizie vengono modificate o censurate. (Vincenzo)

Il problema del terrorismo è radicato nel concetto stesso di umano, fa parte di ciò che siamo e l’unico modo per porre una soluzione a tale problema è modificare la nostra cultura. Bisogna insegnare ai bambini di non avere paura del diverso ed eliminare ogni forma di bigottismo. (Giorgio)

Mi è piaciuto ascoltare la spiegazione di Marta Bellingreri, di come cioè i giovani scrivevano sui muri il loro desiderio di libertà. (Andrea)

Penso ai tanti corpi che galleggiano nel mare e mi sento triste. (Giorgio)

L’incontro che mi è rimasto più impresso è stato quello con il ricercatore Daniele Sicari, perché ci ha spiegato il senso di alcune cose che riguardano la cultura araba e che noi non capiamo e ci sembrano strane. (Dario)

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Paolo Dall’Oglio

Paolo Dall’Oglio libero e Pace in Siria!

 

Sono stata io

Sono trascorsi due anni, adesso è un’altra la vita ed è di nuovo la mia città. Io resto dell’opinione che tutto si è concluso quel giorno, ma nonostante la mia convinzione non mi fanno andare in pensione. Devo continuare a lavorare, dicono. E lo direbbe pure il dottor Falcone.

Al buio

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N’arubbarru lu suli, lu suli…
Arristammu allu scuru, chi scuru!
Sicilia chianci!

Rosa Balistreri

E qualcuno ha pensato che fosse morto li, però non era vero.

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E adesso anche quando piove,
lo vedi sempre con le spalle al sole,
con un canestro di parole nuove calpestare
nuove aiuole.

Signor Hood, Francesco De Gregori.

Diversità è bellezza.

 

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Diversità è bellezza. Progetto di Educazione al genere” è il resoconto visibile di un’esperienza relazionale molto importante: quella educativa.

Questo video non è il semplice prodotto di uno studio o di una ricerca, è il frutto buono del condividere, nello spazio di un’aula scolastica, il mistero dell’incontro. La capacità cioè di guardarsi, ascoltarsi, accogliersi, capirsi, crescere.

Abbiamo cominciato con la gioia di ritrovarci insieme per un altro anno scolastico, non era certo, infatti, che ci saremmo rivisti, data la precarietà a cui anche le relazioni devono sottomettersi in assenza di una certezza lavorativa. Ho subito chiesto ai ragazzi se avessero avuto voglia di imbarcarsi con me nell’avventura, di provare a smascherare i giudizi ideologici che da più fronti hanno attaccato l’educazione al genere, facendone il più grande nemico della famiglia e dell’amore, senza però mettere in campo il minimo sforzo per conoscerne i contenuti o per mettersi in discussione.

Ognuno di noi ha iniziato questo percorso avendo in se stesso delle convinzioni, delle idee, delle difficoltà a riguardo: abbiamo messo tutto sul piatto. Ciascuno sapeva di poter venir fuori con il proprio pensiero, il proprio disagio, le proprie domande. Ho studiato e ricercato i materiali idonei per poter dare ai ragazzi strumenti autonomi di conoscenza. Prima di tutto: le parole. Non tutte le parole, infatti, sono uguali. È necessario conoscerle e capire cosa contengono e quale significato portano con sé: genere, gender, orientamento sessuale, identità sessuale, identità di genere etc…non sono sinonimi. Questo abbiamo fatto, dunque, prima di tutto: abbiamo studiato le parole. Ma le parole non sono sufficienti. È necessario che esse si facciano esperienza, storia, volti, occhi, vita vissuta. L’esperienza ha il primato su ogni dottrina. È così per tutti, ma lo è ancor di più per loro, per i ragazzi. Abbiamo trascorso ore a scuola a ragionare insieme e da casa su whatsapp, per condividere i dubbi, le idee, lo studio: abbiamo fatto rete. Da qui l’idea di realizzare qualcosa di visibile, qualcosa che potesse mettere insieme teoria e pratica, qualcosa che potesse spostare tutto dal piano puramente razionale a quello esperienziale, appunto.

L’educazione al genere prevede che si parli di corpo, di amore, di famiglia, di sesso, di identità, ma per capire realmente qualcosa è necessario avere a che fare con occhi, mani, sguardi, storie, abbracci. Non volevamo realizzare qualcosa per comunicare a tutti quanto avevamo studiato e capito. Volevamo metterci in ascolto della realtà. E le persone sono la realtà: le persone con le quali passiamo la maggior parte del nostro tempo. A queste persone concrete i ragazzi hanno posto delle domande concrete, pensate nella fase di studio e selezionate da loro stessi, in piena libertà. Raccogliere le testimonianze e le risposte è stata la fase successiva. È stato stupefacente osservare come il pensiero dei ragazzi su ciascuno dei professori andasse mutando: non solo non erano più estranei ma anche acquisivano autorevolezza man mano che il loro vissuto personale veniva fuori. Una volta terminati riprese e montaggio abbiamo insieme visionato il video e, dopo, ci siamo fatti un lungo applauso. Eravamo stati bravi! Anche riconoscere questo è stato un momento di crescita.

L’ora di Religione, si sa, è circondata, a volte oppressa, da moltissimi pre-giudizi. Per me era importante che i ragazzi si rendessero conto di una verità che, purtroppo, viene fatta a pezzi dall’analfabetismo religioso, presente in modo capillare, nonostante proprio questa fede sia quella che diciamo di professare. Il cristianesimo nasce “plurale”: ben quattro sono i vangeli che vengono conservati per narrare ai posteri la storia di Gesù di Nazareth. Quattro testi diversi, scritti da autori diversi, indirizzati a comunità differenti. Si, la diversità è bellezza! Essere credenti non vuol dire non pensare con la propria testa o lasciare a terzi la monopolizzazione, l’autorità sulle nostre coscienze. I tempi, questi nostri tempi non permettono più che si riduca a questo la fede cristiana. Non esiste argomento, esperienza, conoscenza che non valga la pena osservare, valutare, capire. Nulla che debba essere escluso a priori, senza sapere neppure di cosa si stia veramente parlando. Se l’insegnamento della Religione non crea spazi di libertà, diversità e dialogo non è più insegnamento della Religione e, soprattutto, non è Religione “cattolica” cioè “universale”, segno di inclusione e convivenza tra diversi, ma diventa il perpetuarsi di strutture di potere che sono inconciliabili con la vita, quella vera delle persone vere: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore” (Gaudium et Spes 1).

Guarda il video Progetto di Educazione al genere: “Diversità è bellezza”.

Uno, due e (art.) 3

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«Le donne in Italia hanno più difficoltà a trovare un’occupazione adeguata al titolo di studio conseguito perché il divario di genere nella partecipazione al mercato del lavoro resta tra i più alti d’Europa (69,7% di uomini occupati contro il 50,3% di donne)».

(L.L. Sabbadini)

ART. 3 della Costituzione Italiana

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Pantelleria. L’ultima Isola.

Siateci.

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Se la storia non insegna, la memoria ci condanna.

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25 aprile 2016

Fotosintesi

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Fotosintesidal greco  φώτο- [foto-], “luce”, e σύνθεσις [synthesis], “costruzione, assemblaggio”. Esiste una fotosintesi “umana”. L’ho scoperto ieri, durante una passeggiata post scuola al foro italico.

Che Palermo sia una città di eccessi in continua contraddizione, si sa. Lo sa chi la visita, da turista, per pochi giorni. I turisti lo capiscono con più chiarezza degli abitanti stanziali, perché l’essere di passaggio apre lo sguardo ad una sapienza intensa, si é tutti protesi a conoscere e capire nel minor tempo possibile e con la massima intensità.

Gli occhi di chi vive a Palermo si abituano fin dall’infanzia e reggere gli sbalzi repentini tra le tenebre e la luce. La luce negli occhi e il buio nel cuore.

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Al foro italico la luce abbaglia. C’è il mare. C’è il vento. Ci sono gli aquiloni che tremano tesi e bimbi che sgambettano instabili su gambe vergini di passi. Ci sono gli innamorati sull’erba e i podisti di ogni età alla ricerca di muscoli e salute. Ci sono gli adolescenti che sui motorini truccati della Kalsa vengono a fumare all’aria aperta, sperando che la vita sia meno tossica in riva al mare. Ci sono le donne extracomunitarie con gli abiti colorati e uomini dalla pelle scura che vendono i flaconcini per le bolle di sapone.

A passare in mezzo alla gente, con lo sguardo fisso alle gru dei cantieri navali, si raccolgono parole, come una mietitura.  E mentre un giovane che sembra Gesù, avvolto nel foulard della sua ragazza per proteggersi dal vento arpeggia un giro di Do, ogni frammento di conversazione sembra possedere un senso compiuto.

E’ un tacito scambio, un prendere, dare e trasformare. Come in una fotosintesi la luce innesca i processi, perché è la luce la più grande risorsa di questa città che sopravvive incredibilmente, di giorno in giorno, sotto il torchio costante di tenebre fitte fitte.

Così, le ultime parole ascoltate, come titoli di coda, pronunciate da un’adolescente dai capelli rossi, sembrano con precisione chirurgica andare a fondo nella ferita: “No, tu un c’ha cririri mai a chiddu ca ti diciunu l’autri. Tu, c’hai a esseri tu, cu l’occhi toi, tu”.

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